Dopo il trionfo mondiale di Povere Creature!, Yorgos Lanthimos ha voluto farci un regalo: a distanza di pochi mesi, decide di riportarci in sala per scoprire nuovi modi di uscirne destabilizzati. Una parte bellissima di questo regalo è il ritorno della collaborazione fra il regista e il suo co-sceneggiatore di fiducia Efthimis Filippou; i due, insieme, hanno infatti dato vita alle opere più celebri firmate Lanthimos, come Dogtooth, The Lobster e il Sacrificio del Cervo Sacro.
Non c'è da stupirsi quando realizziamo che "Kinds of Kindness" si presenta come una piacevole strizzata d'occhio alle opere precedenti del regista greco, molto più macabre, nichiliste e inquietanti. Qui Lanthimos torna finalmente a giocare con il pubblico (a modo suo), a provocare in maniera sprezzante e "cattiva", facendoci respirare decisamente questa sua ritrovata libertà di espressione e quasi di ritorno "a casa".
In "Kinds of Kindness" ritroviamo le principali cifre stilistiche che hanno caratterizzato Yorgos Lanthimos sin dai primissimi successi: tematiche disturbanti e surreali, la critica sociale, dialoghi e recitazione volutamente meccanici, narrazione lenta e imprevedibile con colpi di scena inaspettati e violenti che destabilizzano lo spettatore, uso del colore e della fotografia particolarmente meticolosi e inquietanti.
Il tutto condito dall'inconfondibile vena di dark humor che in "Povere Creature!" raggiungeva la sua massima potenza.
E non è finita qui. Il buon Lanthimos decide di farci un regalo all'interno del regalo. Il suo nuovo lavoro non è un solo film, bensì tre. La storia infatti si divide in capitoli, effettivamente distaccati a livello di trama e ambientazione, se non per un dettaglio che scopriamo sul finale e per la ricorrenza dello stesso cast che ricopre ruoli differenti ogni volta.
Attenzione: di seguito verranno riportare brevemente le singole trame dei capitoli, non si parlerà nello specifico del finale di ognuno ma potrebbero tuttavia essere presenti spoiler.
Il primo capitolo, intitolato "The Death of R.M.F." vede come protagonista un uomo di nome Robert (Jesse Plemons) alle prese con un rapporto morboso e ambiguo (a tratti anche sessualmente) con il suo capo Raymond (Willem Dafoe). Capiamo sin da subito come, da anni, ogni minima azione di Robert venga decisa in precedenza e controllata alla lettera dall'eccentrico e carismatico datore di lavoro, persino il sesso con la moglie, interpretata da (Hong Chau). Questo rapporto psico-sessuale fra i protagonisti (in cui è compresa anche la moglie di Raymond, interpretata da Margaret Qualley), arriva ad un punto di rottura nel momento in cui il protagonista non si sente pronto a rischiare la propria vita e quella di un altro sconosciuto. Sarà in questo momento che Robert si vedra sostituito da una tale Rita (Emma Stone) e vedrà sparire ogni singolo privilegio a lui concesso e le azioni che ne conseguono per riconquistare la fiducia e l'amore di Raymond saranno disperate.
Il secondo capitolo, "R.M.F. Is Flying", è quello che, a parer mio, ti lascia più perplesso, quello che quando finisce ti chiedi "ma che cosa ho appena visto?", un senso di profonda confusione e voglia di sapere. La trama gira ancora una volta intorno a Jesse Plemons, stavolta chiamato George, alle prese inizialmente con la scomparsa della moglie Liz (Emma Stone) e poi, una volta tornata, con la paranoia che non sia veramente lei e che l'abbiano in qualche modo sostituita. La trama da qui, si inoltra sempre di più in un gioco di potere e sospetto che porterà a dei momenti inaspettati di violenza e sconcerto, raggiungendo questo finale fumoso che ti lascia con una sete insanabile di spiegazioni.
Il terzo e ultimo episodio, "R.M.F. Eats a Sandwich", ha invece come protagonista Emily (Emma Stone), la quale, in coppia con Andrew (Jesse Plemons), è alla ricerca di una fantomatica ragazza capace di resustitare i morti. Veniamo a scoprire in seguito che Emily e Raymond fanno parte di una setta con a capo Omi (Willem Dafoe) e Aki (Hong Chau), i quali predicano una vita devota alla purificazione tramite i liquidi: gli adepti sembrano dissetarsi solo con le lacrime dei leader (raccolte ogni mattina in un'immensa vasca) e vengono esaminati attraverso l'assaggio del loro sudore, da parte di Aki, per determinare se siano rimasti puri o meno.
Determinante ancora una volta sarà l'elemento erotico, il sesso è consentito solo con Omi o con Aki, altrimenti il seguace verrà considerato impuro ed espulso dalla setta dopo il solito rituale di assaggio della sudorazione. Gli eventi inizieranno a precipitare proprio quando Emily sembra aver trovato finalmente la ragazza della profezia dotata di poteri curativi (Margaret Qualley). Un altro finale che ci porta a pensare "che cosa ho appena visto?", ma per motivi diversi. Finalmente si pensa di aver trovato una quadra, quasi un lieto fine per i personaggi...e invece Lanthimos ti sbatte in faccia la realtà dei fatti e ti lascia a bocca asciutta. Come sempre.
Ma quindi, qual è il significato di queste tre storie? Cosa ci vuole comunicare il regista? Di quali "tipi di gentilezza" si sta parlando?
"Kinds of Kindness" è sicuramente una classica denuncia ai rapporti sociali che sfociano nella malattia, alla Lanthimos. Su questo non c'è dubbio. Tutti gli episodi estremizzano l'amore ossessivo e distorto, il rifiuto e la conquista della libertà, il potere e la manipolazione. Tuttavia spesso le rappresentazioni estreme del registra risultano gratuite, create giusto per il gusto di impressionare lo spettatore. Ci si può scervellare in tutti i modi per trovare una spiegazione metaforica/etica in ciò che succede ai personaggi, tuttavia trovo che vanificherebbe l'intrattenimento malsano di cui godono gli amanti del regista.
Indubbiamente, come già detto, l'intento dell'indagine sociale è sempre presente in tutti i suoi film, in questo caso per esempio è evidente la riflessione sulle "gentilezze" estreme che si hanno per ottenere vantaggi, protezione, attenzioni a seconda del caso. Tuttavia la maggior parte di ciò che accade è, a parer mio, puro divertimento e gusto del macabro, frutto della poetica di Lanthimos. L'obiettivo del regista rimane quello di sconcertare, prima di far riflettere; in tutta onestà, credo personalmente che se lo spettatore, da questo sconcerto, riesca a ricavare o meno un messaggio, non freghi assolutamente nulla a Yorgos.
Con questo non si vuole criticare assolutamente l'operato di questo autore, anzi, se ne vuole lodare la capacità estrema di emergere in un mercato del cinema saturo su molti aspetti e soprattutto la capacità di fare del proprio stile un carattere distintivo, che ormai porta lo spettatore a riconoscerlo ad un primo colpo d'occhio o a definire opere simili come "lanthimosiane". Mi soffermerei, per opere fuori dalle righe come queste, al loro puro carattere intrattenitivo, senza volerne cavare per forza il ragno dal buco. Anzi, conoscendo l'intera filmografia di Yorgos Lanthimos e amando i suoi film, posso dire con certezza di aver apprezzato particolarmente questo ritorno alle origini, questo ritrovato senso di inquietudine e quasi di "ansia" nel non riuscire a prevedere minimamente cosa sarebbe accaduto. Una caratteristica questa, che forse si era un po' persa per strada negli ultimi anni con La Favorita e Povere Creature!.