Tornata sugli schermi di Netflix, il secondo capitolo della serie Monsters è dedicato alla storia di Lyle ed Erik Menendez. Uscita il 19 settembre, rimane indomita ai primi posti delle serie più viste su Netflix. Che cosa dice questo successo e cosa sta succedendo?
Prima di analizzare il prodotto seriale, diamo un po’ di contesto: i fatti legati ai delitti di casa Menendez risalgono al 20 agosto 1989.
In una calda serata estiva, i coniugi Menendez stanno guardando la televisione sul divano di casa, forse gustandosi un gelato, forse mezzo assopita dalla monotonia del programma; ma è proprio mentre il sonno ha il sopravvento che nel salotto entrano i figli con in braccio due fucili da caccia. La coppia non ha il tempo di parlare e una raffica di colpi li travolge, uccidendoli.
Dalla ricostruzione dei fatti si scoprirà il numero esatto di proiettili che raggiunsero entrambe le vittime: Sei colpi sull’uomo (di cui uno mortale alla testa), dodici colpi (con ricarica dell’arma) sulla donna, indice di un’efferatezza senza precedenti.
Il processo a Erik e Lyle Menendez inizierà solamente un anno dopo l’accaduto, nel 1990.
Storia dei fratelli Menendez, di processi mediatici e di pubblici affamati di storie di mostri
La serie Monsters esce per la prima volta nel 2022 con 8 episodi dedicati a una delle figure più raccapriccianti della storia della cronaca nera americana: Jeffrey Dahmer, il cannibale di Milwaukee. Già all’epoca la serie (ideata da Ryan Murphy e Ian Brennan) ebbe notevole successo comportando la curiosità del pubblico mondiale riguardo i terrificanti fatti risalenti agli anni ’80.
Consci dello strabiliante successo della serie, i creatori hanno continuato questa antologia delle storie dell’orrore dedicata ai mostri, il cui secondo capitolo è, appunto, dedicato al caso dei fratelli Menendez.
La storia di Lyle ed Erik è e rimane uno dei processi più controversi della storia e che ancora al giorno d’oggi fa parlare di sé. All’epoca dei fatti, i fratelli furono arrestati solo un anno dopo l’uccisione dei genitori e il processo si protrasse per sei lunghi anni (1990-1996), con un interessante intreccio con un altro caso mediatico che all’epoca fece enorme scalpore: il caso O. J. Simpson. Se il processo di quest’ultimo, nonostante le evidenti prove di colpevolezza dell’imputato, si concluse con la sua assoluzione, quello dei fratelli Menendez non ebbe la stessa sorte. Infatti, Lyle ed Erik furono condannati all’ergastolo senza condizionale, pena che stanno ancora scontando ma che, anche grazie al prodotto seriale, potrebbe andare incontro a risvolti interessanti.
Infatti, la risonanza mediatica non solo della serie, ma anche del documentario “I fratelli Menendez” di Alejandro Hartmann (disponibile sempre sulla piattaforma) è di tale portata che non solo ha suscitato l’interesse di molti anche tra le sfere delle celebrità (basti pensare all’appello lanciato da Kim Kardashian a riguardo), ma, per giunta, ha comportato la riapertura del caso, per il quale è stata fissata una nuova udienza per il prossimo 29 novembre.
Mettendo da parte i risvolti giudiziari che porteranno alla riapertura del caso, che cosa ci dice questo interesse perverso da parte del pubblico nei confronti di fatti di cronaca così efferati?
Questa serie, come tutte le altre tipologie di serie true crime che ultimamente dilagano sulle piattaforme streaming, rappresenta il terreno fertile di un’analisi sociale del pubblico. È inutile esplicitarlo, ma quando escono prodotti di questo tipo, ognuno di noi si trasforma in detective, anche se prima di ogni cosa siamo semplicemente curiosi.
Se si dovesse parlare solo della serie sui fratelli Menendez, essa farebbe scalpore perché, con il suo impianto drammaturgico (meraviglioso e con un cast spettacolare), interroga il pubblico, mettendolo in difficoltà e creando un’atmosfera ambigua in cui difficilmente si può davvero distinguere ciò che è vero e ciò che è falso. E proprio grazie a questo gioco malvagio, spudoratamente mistery, il pubblico è affascinato e incuriosito dal conoscere la verità che si cela dietro i fatti dell’89.
Ma è proprio questo il punto: sui fatti di cronaca nera, come lo è quello dei fratelli Menendez, se ne sono dette di tutti i colori. Se ne è parlato talmente tanto, discusso e spettegolato, che la realtà dei fatti si è complicata così tanto che anche la stessa serie non dà una risposta chiara alle vere motivazioni che portarono i fratelli ai delitti. E il pubblico, proprio per questo, alla fine della visione si domanda ancora il motivo reale che si cela dietro quelle efferate azioni.
Tuttavia, non possiamo limitarci a parlare solo dei fatti di casa dei Menendez, dal momento che non è l’unico prodotto che tratta di storie tragiche.
Infatti, tutte le serie true crime, alla fine, ricreano set lì dove è accaduto un fatto di cronaca nera abbastanza succulento e crudele che può attirare l’attenzione del pubblico. Soprattutto il racconto di Murphy e di Brennan rimane una riflessione su come noi spettatori siamo ossessionati da storie di questa tipologia: non solo tragiche, raccapriccianti e spaventose, ma anche e soprattutto mostruosamente accattivanti e intriganti e, in quanto tali, che incuriosiscono il pubblico, attratto dal lato più oscuro dell’animo umano.
Pertanto, la visione di queste storie diviene un momento catartico, al termine del quale lo spettatore può distanziarsi dalla loro malvagità e ritornare alla vita di tutti i giorni. Peccato che il demone che vive dentro di noi scalpita, ha fame e continuerà ad averne, fino a quando, finalmente non verrà saziato di nuovo.
Meno male che, quindi, i produttori stanno già lavorando alla terza stagione di Monsters, il cui protagonista rappresenta la summa di ciò che più macabro non è mai esistito. Se avete avuto terrore del cannibale di Milwaukee e se vi siete discostati dalle reazioni dei fratelli Menendez, la storia di Ed Gein vi farà letteralmente accapponare la pelle o, chissà, sazierà definitivamente quella fame di true crime che al giorno d’oggi caratterizza ognuno di noi.