Arrivato dopo una lunghissima attesa, il nuovo film della DreamWorks ha catturato il pubblico di grandi e piccini. Che cosa ci insegna la storia di Roz?
Tratto dall’omonimo romanzo di Peter Brown, Il robot selvaggio racconta di Roz, un robot di altissima generazione, che naufraga su di un’isola in cui la natura selvaggia regna sovrana. Attivata involontariamente da delle lontre curiose, Roz inizia la sua avventura: cercare qualcuno a cui serve aiuto, per poter portare a termine il compito e poi ritornare a casa.
Apparentemente sembra una missione semplice, ma in natura a chi serve una mano? Gli animali (da quelli più piccoli a quelli più grandi) la attaccano perché diversa, ma ad ogni colpo lei si rialza, in fin dei conti è un robot indistruttibile. Tuttavia, è quando viene inseguita da un orso, l’animale più grande e spaventoso dell’intera isola, che accade l’impensabile: Roz, cadendo, schiaccia un nido e l’unico superstite è un uovo. La piccola anatra che nasce da esso la riconosce come madre. È così che Roz conquista quel compito tanto ricercato: la maternità di Beccolustro, un cucciolo di anatra.
Oltre la sua natura per conoscere sé stesso
Un ossimoro, quello di natura e tecnologia, che trova la sua realtà in questo nuovo e commovente film di Casa DreamWorks.
Non è la prima volta che viene ad essere presentata questa relazione dal momento che già la Disney-Pixar aveva realizzato in passato Wall-E (2008), preceduta anche da Il gigante di Ferro (1999) prodotto dalla Warner Bros. Il fil rouge che unisce le tre storie è rappresentato dalla riflessione sulle tecnologie di ultima generazione in contrasto con la natura e l’uomo. Ed è proprio questa la domanda che sta alla base di questi incredibili film d’animazione: tecnologia significa evoluzione?
Ancora una volta, con la storia di Roz, la riflessione è portata su questo aspetto: può la tecnologia più evoluta soddisfare le esigenze di madre natura? No, perché quest’ultima è e rimane essere il baluardo dell’evoluzione più alta e più semplice al mondo. Madre natura avrà sempre la meglio sia sull’uomo che sulle sue creazioni. Anche la tecnologia più evoluta dovrà sempre imparare qualcosa di nuovo, a prescindere dal fatto che sia di ultimissima generazione. Non si smette mai di imparare, anche se si è robot.
Ma il robot selvaggio non parla solo di ciò e anzi un’altra e più profonda riflessione viene fatta sullo schermo: la genitorialità e il saper lasciare andare.
Sulla scia del romanzo di Luis Sepulveda Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare, Il robot selvaggio parla di genitorialità: se nella prima storia, a conti fatti, la difficoltà è data dal fatto che Zorba è il cacciatore dell’uccellino Fortunata, in questo caso il rapporto tra Roz e Beccolustro è complicato ulteriormente dalla costituzione tecnologica della prima, contro quella naturale del secondo. Nonostante questo piccolo grande ostacolo, Roz imparerà a divenire madre, anche grazie a qualche amico animale, tra cui l’opossum Coda Rosa.
L’aspetto interessante della pellicola, che incontra un core target più vasto, è proprio dato dalla riflessione sul ruolo del genitore all’interno della crescita del figlio. E proprio su questo punto il film fa una riflessione importante, mantenendo sempre un tono ironico. Il genitore è un fatto difficile: può essere desiderato o può capitare (un po’ come a Roz), ma non esiste alcun programma specifico e definito per divenire genitore. È un mestiere che si impara “facendo” e improvvisando, proprio come dice Coda Rosa a Roz.
Ed è proprio tramite l’improvvisazione che si impara e si cresce insieme, fino ad andare oltre i propri limiti e arrivare ad evolversi, divenendo la parte migliore di sé.
Tuttavia, la genitorialità non è solo rappresentata dall’imparare, è anche un climax il cui apice è rappresentato dal “saper lasciar andare”. E infatti, come Zorba vede andare via Fortunata, così anche Roz deve lasciar andare Beccolustro. Le lezioni di volo diventano l’ultima sfida che il robot deve portare a termine: anche in questo caso, un po’ come Zorba, Roz deve andare oltre i propri limiti, divenendo “molto di più di ciò per cui è programmata”.
Come tutte le storie belle hanno una fine, anche quella di Roz deve avere un punto. Ma forse più che un punto è un punto e virgola, una sospensione della narrazione. Infatti, l’avventura di Roz e dei suoi amici animali non è ancora finita e c’è ancora tanto di cui parlare, soprattutto del mondo da cui viene il robot.
Per questo non temete, il secondo capitolo de Il robot selvaggio è già in programmazione e sarà sempre prodotto da casa DreamWorks.
Per ora vi possiamo consigliare caldamente di recuperare il film, ancora in tutte le sale italiane!