Andato a Venezia 81 e osannato con una standing ovation di 11 minuti, per poi arrivare nelle sale italiane a partire dal 2 ottobre, Joker, Foliè a deux sta facendo molto parlare di sé, ma non in positivo, perché è stato condannato come uno dei film peggiori di sempre.
Phillips, nel 2019, era riuscito a creare il Joker con una parabola ascensionale tramite cui Arthur Fleck liberava dalle catene la bestia che viveva dentro di lui. A giugno del 2022, Phillips annuncia il secondo capitolo dedicato all’antagonista più folle di sempre. È un sequel musicale, un duetto: Joker, Foliè a deux. I titoli dei giornali urlano la presenza di Harley Quinn. Finalmente arriverà la compagna tanto attesa del Joker e sarà Lady Gaga ad interpretarla.
Phoenix e Gaga: Joker e Harley.
Due anni dopo, nel 2024, il film sbarca a Venezia 81, poi nelle sale cinematografiche. È il finimondo. Alla folla non piace il nuovo Joker.
Perché?
Joker e Arthur Fleck, l’ombra e la follia del mondo interiore
Il film inizia con un preambolo pur sempre filmico (d’animazione), la cui sintesi si può presentare tramite la logica epicurea: quando il Joker c’è, non c’è Arthur e quando c’è Arthur, il Joker non c’è.
Benché le premesse con cui parte il film rimangano interessanti, di particolare profondità e interesse, la storia, a mano a mano che procede, perde di potenza e tutto l’impianto narrativo si disperde. Ciò è causato soprattutto dall’ingente presenza di canzoni (un plauso a Phoenix per la voce) e di performance spesso troppo ridondanti.
Se ci fossero state meno canzoni e meno performance, il film sarebbe stato sicuramente più godibile.
Nonostante questi aspetti che appesantiscono l’opera e che, purtroppo, stanno avendo la meglio nell’ambito della critica negativa legata al film, rimane interessante un altro aspetto che però passa in sottotono: la narrazione del doppio e del mondo interiore dei villains.
Il vero duetto, la vera “follia a due” è presentata nella premessa: la coppia di cui parla il film è Arthur e Joker.
Rappresentare l’interiorità di una persona è complesso, figuriamoci di un villain come il Joker. Eppure, Phillips ci prova.
Secondo il regista, infatti, il mondo interiore di Arthur è rappresentato da un palcoscenico che si accende di luci e su cui si muovono due figure colorate e folli che duettano e piroettano insieme: Harley e Joker. Peccato che dall’amore nessuno esce vittorioso, neanche il cattivo più folle e malvagio.
Harley Quinn ha sempre avuto un obiettivo ben preciso, fin da quando si è fatta rinchiudere all’interno del carcere di Arkham: conoscere Joker. Dell’involucro esterno (Arthur) non le importa granché. Vuole solamente liberare ciò che è (per lei e per la folla) la vera natura di Arthur: il Joker.
A nessuno piace ed è mai piaciuto Arthur Fleck. E anche il come si sta parlando del film è sintomo del dispiacere del pubblico di vedere, ancora una volta, il tentativo di mantenere sullo schermo l’uomo (Arthur) e non l’ombra (Joker).
Il meccanismo che ha cercato di mettere in scena Phillips, fallendo miseramente, è quello secondo il quale noi vorremmo qualcosa che in realtà non potremmo mai avere: l’ombra, il Joker, davvero vincitore su tutto.
Ciò che si cela dietro questa narrazione è ben più profondo: è il vano tentativo di raccontare la storia di un villain, che in realtà non è nient’altro che la personificazione del Caos.
Paradossalmente non è possibile rendere umano un concetto. Men che meno la rappresentazione del tentativo di emancipazione di questo concetto da una base umana. Del resto, forse solo Nolan ci è riuscito davvero con il suo Joker (Heath Ledger).
Probabilmente è per questo che Todd Phillips ritorna in sala con un secondo capitolo (molto sconnesso, e in netto contrasto con il primo) che pone un interrogativo gigantesco: noi come pubblico, chi vogliamo davvero? Arthur Fleck, l’uomo povero, malato, pazzo, weirdo, outsider, emarginato oppure la sua evoluzione, il Joker, il mostro che vive dentro di lui e la cui forza vogliamo liberata, colui che porta scompiglio nel mondo?
Ammettiamolo ancora una volta: noi vogliamo proprio vedere il mondo bruciare e dare la colpa a qualcuno. E il Joker incarna proprio questo aspetto.
Peccato che a deluderci è proprio l’involucro esterno del Joker. Arthur Fleck, nonostante all’inizio assecondi Harley e lasci libero movimento al Joker, in un secondo momento decide di dire basta, di non voler più essere il Joker. Alla fine, vorrebbe essere amato (persino da Harley) solo e soltanto per quello che lui è. Ovvero Arthur Fleck.
Tuttavia, rinnegando il Joker, perde tutto: perde l’amore della sua vita, perde il sostegno di chiunque. Diviene solamente un involucro vuoto. Rimane solo un uomo che non è nient’altro che uno spettro di ciò che, invece, con il Joker, avrebbe potuto essere.
Abbandonato, ritorna nel carcere da cui ha cercato, in extremis, di fuggire. Ed è proprio nel carcere che, quindi, in modo plateale e spiazzante, Arthur va incontro ad una fine misera. Rinnegando la sua ombra, Arthur si è condannato.
La pellicola è il tentativo di spiegare che è impossibile avere una narrazione di un villain che la fa franca e un mondo che brucia secondo i suoi desideri. È impossibile soprattutto in base alla premessa che ci viene data: il Joker è e rimane un concetto incarnato in un uomo, Arthur.
E quindi la domanda rimane la stessa, chi è il vero folle? Il pubblico indignato dalla fine di Arthur? O Arthur che, pur di mantenere un proprio perché all’interno della società, ha deciso di rinnegare il Joker?