Candidato agli Oscar 2024 come miglior film d'animazione, la pellicola nostalgica del basco Pablo Berger è un turbinio di emozioni, tutte perfettamente consegnate al pubblico attraverso un'animazione semplice ma efficace, estremamente espressiva seppur limitata a semplici sorrisi e facce tristi. Una New York anni '80 prende vita, tramite easter eggs di personaggi della Grande Mela più conosciuti o meno (c'è il Mars di Spike Lee e un giovane Jean-Michel Basquiat, giusto per fare un esempio). Ma non è solo questo che rende questo film un gioiello.
Una sceneggiatura muta
Probabilmente per molti sarà una cosa inaspettata, considerando anche la sua candidatura da parte dell'Academy, ma Robot Dreams è un film completamente muto, costituito da situazioni estremamente legate una con l'altra ma ognuna di queste con una conclusione verticale, formato tipico del media di partenza, ovvero la graphic novel di Sara Varon: Berger più volte ha ripetuto che le parole e il dialogo sono superflue per lui, poichè gli bastano immagini, suoni e musica per riuscire a emozionare il pubblico e beh, piccolo flex o meno, il basco ha colpito il bersaglio nel suo esatto centro.
Il film racconta la storia di DOG, un cane solitario che vive a Manhattan. Un giorno decide di costruirsi un robot, un amico. La loro amicizia cresce, fino a diventare inseparabili, al ritmo della New York degli anni '80. Una notte d'estate, Dog con grande dolore, è costretto ad abbandonare ROBOT sulla spiaggia, poichè dopo un bagno in mare l'amico metallico sembra essersi inceppato. I due vivranno due storie estremamente separate, con il cane che cercherà di recuperare l'amico e il robot che si avventurerà nel suo stesso inconscio.
Berger sembra essersi soffermato soprattutto su quest'ultimo dettaglio, ovvero il sogno e l'inconscio: ROBOT essendo bloccato, vive più volte avventure che chiaramente non può fare, poichè costretto dal suo stesso fisico ad una paralisi, ma noi spettatori puntualmente pensiamo che quella sia la volta buona che il protagonista sia riuscito a sbloccarsi per poi riuscire a ricongiungersi con l'amico canino. Ma no, nonostante le mlle storie e le mille peripezie ROBOT rimane sulla spiaggia, passando un anno intero isolato, fino ad un colpo di scena che vi riservo.
DOG invece è forse il più dinamico dei due, sempre indaffarato e voglioso di recuperare l'unica "persona" presente nella sua vita: la solitudine della città è infatti un grande tema del film, visto che il cane è più volte rappresentato ansioso e disilluso, sempre rigettato da una società in continuo movimento e cambiamento; e ciò non è nient'altro che la personalissima vita del regista, trasferitosi nella Grande Mela per studiare cinema e finito in un calderone come è appunto l'iconica città americana.
La struttura quasi episodica che vede protagonisti DOG e ROBOT non deve spaventare: il film risulta ben scritto grazie al susseguirsi di queste meravigliose storie al contempo sia verticali che orizzontali, meravigliosamente narrate attraverso suoni e musiche tematiche che ritornano spesso ad accompagnare una narrazione potenzialmente pesante e poco fruibile, vista la mancanza di parole e la nostra abitudine verbocentrica (come lo è ovviamente il cinema moderno).
La semplicità della tecnica
Pablo Berger si definisce da solo un terrorista cinematografico (è un tipo strano, fidatevi) e ciò per due motivazioni: una l'abbiamo appena affrontata, ovvero la mancanza di parole nelle sue opere, l'altra perchè ricerca un tipo di tecnica che rimanda all'epoca prima del cinema, ovvero gli anni '20/'30, periodo contrassegnato come preferito dal regista. Robot Dreams incarna in un certo senso questa tipologia di cinema, non solo per il muto, ma anche e soprattutto per la semplicità della tecnica: dopo anni di grandi film in computer grafica, Berger irrompe con una grande produzione in tecnica classica, finendo alla fine per essere candidato agli Oscar.
Missione compiuta, visto anche l'estremo successo che il film ha portato con se: l'estrema espressività nella semplicità dei tratti dei personaggi, unita ad una ricerca musicale ben curata rendono questa pellicola estremamente emozionante, ma mai scontata o strappalacrime; la sensazione di freschezza guardando un prodotto del genere è immensa e penso che l'obiettivo del regista fosse proprio questo.
Conclusioni
Insomma, Pablo Berger confeziona un meraviglioso prodotto estremamente moderno nelle intenzioni ma classico e anche quasi vecchio nella tecnica (compresa la scrittura senza dialoghi); la sua ricerca dell'emozione nello spettatore è perfetta e molto sensibile e delicata, mai scontata e anzi necessaria in un panorama cinematografico esageratamente melò e volto alla ricerca della lacrime facile. Un piccolo gioiello al cinema in questi giorni, non perdetevelo.