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Recensione Serie TV & Film

Eric: la nuova e controversa miniserie Netflix

Erika V. Lanthaler • 13 Giugno 2024

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Già in vetta alla classifica italiana di Netflix, la nuova miniserie della piattaforma divide la critica tra chi la trova un prodotto interessante, sebbene sui generis, e chi la trova troppo caotica.

Eric, la miniserie Netflix che non puoi perderti: un thriller che tocca con  molti temi profondi della vita

Dentro e fuori lo show

Prima di addentrarci nel mondo della critica e dell’accoglienza da parte del pubblico di questa interessante, seppur particolare, miniserie Netflix, presentiamone la trama.

New York, fine anni Settanta, nel programma Good Day Sunshine tutto sembra procedere bene: le canzoni funzionano, l’audience è altissima e i bambini amano la trasmissione, ma non è tutto oro quel che luccica.

Fuori dal set, infatti, il panorama idilliaco dello show si fa più opaco, meno lucente; più caotico e meno armonioso; più sporco e meno immacolato: insomma, si ritorna alla cruda realtà di una spietata e sporca metropoli. I protagonisti di questa storia vivono a metà strada tra questi due mondi, come incastonati tra la dura e spietata realtà e l’immacolata e innocente irrealtà dello schermo.

Ed è proprio qui che si presentano i personaggi della storia i cui traumi e dolori fanno a pugni con le scene idilliache di inizio serie: Vincent (Benedict Cumberbacht), il puparo ideatore dello show, fuori dal set ha una personalità dispotica, dura e poco paterna che schiaccia, infatti, l’estro del figlio Edgar (Ivan Morris), scontrandosi non solo con i suoi collaboratori di puntata, ma anche e soprattutto con la moglie Cassie (Gaby Hoffmann). Ed è dopo l’ennesimo scontro tra i due coniugi che Edgar scompare misteriosamente tra le vie di una New York troppo presa dai suoi problemi per poter badare a ciò che fa un bambino di soli 9 anni.

Dopo la denuncia della scomparsa del bambino, tutto precipita: l’inizio delle ricerche da parte della polizia; le indagini che portano a diverse strade, tra cui un altro caso di sparizione di minore tra le sporche strade della metropoli; l’equilibrio del matrimonio di Vincent si rompe definitivamente, i suoi demoni ritornano e Good Day Sunshine che procede senza il suo fondatore. In questo panorama, prende vita Eric, un bozzetto di Edgar che diventa il fedele compagno di Vincent in questa strana ricerca di un bambino tra i meandri oscuri di New York.

Perché si/perché no

Partendo dagli aspetti positivi e interessanti di questo prodotto, è inutile non dire che avere come protagonista Benedict Cumberbacht rimane la mossa vincente, ed è ancora più inutile sottolineare le grandissime capacità attoriali di costui. Insomma, abbiamo capito. L’attore britannico è geniale, già osannato dalla critica e le cui doti attoriali sono state riconosciute dall’Accademy con due candidature all’Oscar per i ruoli in The Imitation Game (2014) e de Il potere del cane (2021), la sua popolarità nel grande pubblico è nata con la serialità e, in particolare, con la serie tv della BBC Sherlock (2010-2017). Se fino a poco prima dell’uscita di questa serie abbiamo avuto modo di conoscerlo in ruoli attoriali e di doppiaggio in modo separato e mai nello stesso momento, qui, con Eric, queste si uniscono presentando a tutto tondo le capacità di questo attore. Bando alle ciance e basta con i fronzoli, cosa funziona?

La scelta attoriale, certamente, ma anche la caratterizzazione psicologia del personaggio e la trama principale della storia: a dispetto di ogni parvenza, infatti, Eric non è solo una storia di ricerca disperata di un bambino perduto, di denuncia di crimini obliati e di rivalsa sulle ingiustizie, ma è anche e soprattutto un viaggio all’interno dell’io. A conti fatti, Vincent/Benedict scende nei meandri delle fogne di New York per cercare suo figlio, ma metaforicamente scende nell’oscurità della sua psiche e del suo animo per ritrovare sé stesso.

E quindi cosa rappresenta Eric? Forse il nostro vero io, quel mostro che cerchiamo di nascondere ma che, in un modo o nell’altro, abbiamo nell’animo. Renderlo pupazzo e dargli una vita diventa cruciale: La sua realizzazione, ovvero renderlo reale, permette a Vincent di parlare con i suoi demoni (qui incarnati da Eric), confrontarsi con loro e, finalmente, prenderli a pugni e sconfiggerli.

E proprio questo viaggio si intreccia con la realtà di ciò che sta succedendo al di fuori della psiche di Vincent: la fine del suo matrimonio, la crisi all’interno del programma Good Day Sunshine, ma anche e soprattutto la scomparsa del figlio cui si intreccia un’altra storia di sparizione e di occultamento. Tante, forse troppe cose che succedono e si intrecciano all’intreccio principale, creando un vortice che trascina lo spettatore tra le sue strane e intricate trame.

La penna che si cela dietro questa mise en scène è quella di niente popò di meno che Abi Morgan, sceneggiatrice di The Iron Lady (2011) e Suffragette(2015). Sicuramente, se fino a qualche riga prima ci siamo occupati di osannare gli aspetti positivi, arriviamo a quelli più ostici e purtroppo è proprio di scrittura della storia. Infatti, se nei suoi film la Morgan è riuscita a dare adito alle storie delle sue protagoniste, forse in questo prodotto sembra schiacciata tra la volontà di raccontare tutto e su diversi livelli in poco tempo.

Infatti, dopo l’inizio lineare della serie, troppi eventi si intrecciano alla trama principale, uno fra tutti è quello dell’altro caso di sparizione, al quale è dedicato particolare attenzione: il ragazzo scomparso è Marlon Rochelle, nero e minorenne, troppo facilmente dimenticato dalle forze di polizia, proprio per le sue caratteristiche. La riapertura del suo caso avviene proprio “grazie” alla sparizione di Edgar, che permette a Ledroit, a capo delle indagini, di indagare a fondo e non con qualche difficoltà sul mistero che si cela dietro la sua sparizione. Una tematica ardua, legata all’occultamento di cadavere, corruzione della politica e della polizia che si intreccia in modo interessante alla trama principale. Peccato che il risultato non è totalmente soddisfacente, soprattutto per la forte tematica che porta avanti: essendo anch’essa di particolare forza e intensità a tratti offusca la trama principale, a tratti è proprio quest’ultima ad offuscare questa seconda trama.

Nonostante ciò, Eric rimane una miniserie interessante, controversa certo, ma anche sui generis. Forse un po’ caotica, troppo piena di storie che si intrecciano creando un turbine intricato di pensieri, ansie e paure. Forse unire troppe storie insieme non ne permette il reale sviluppo o forse, “il concept è così irresistibilmente weird, (…) che Eric funziona anche nei momenti in cui sembra aver perso il filo”, come riportato da Rolling Stone.

Alla fine, non c’è una risposta giusta

Forse è proprio così che doveva essere Eric, caotico, “weird”, un po’ sui generis e anche, quasi, una serie outsider.

Forse, bisogna prendere Eric per quello che è: una storia di un pupazzo-coscienza che, divenendo reale, può essere un mezzo di espressione e di confronto con il proprio io.

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