Dopo un periodo di trepidante attesa, il buon Martin Scorsese è tornato con un altro suo film, stavolta riunisce entrambi i suoi attori feticcio (sesta collaborazione con Di Caprio, undicesima con De Niro, ma la prima con tutti e tre insieme) per proporci un lunga epopea sulla storia americana.
Introduzione:
Il film pensate ha iniziato la sua produzione nel lontano Marzo 2016, con l’acquisto dei diritti per adattare il romanzo da cui l’opera trae ispirazione, i costi di produzione, il covid e la produzione nel mezzo di The Irishman hanno però tardato l’uscita del film a questo Ottobre dopo la presentazione allo scorso Festival del cinema di Cannes.
Il film si concentra sulla storia di Ernest Burkhart (Leonardo Di Caprio), di ritorno dal fronte e ospitato dallo zio William King Hale (Robert De Niro) nell’Oklahoma, dove la comunità indiana degli Osage convive apparentemente in modo pacifico con la vita cittadina ed industriale degli americani del primo Novecento. Il piano di Hale è semplice, riuscire ad appropriarsi gradualmente e senza farsi scoprire dei soldi derivati dal petrolio appartenenti alla famiglia della moglie di Ernest, commettendo illeciti ed omicidi.
Uno Scorsese al massimo:
Fin dalle prime inquadrature, il buon Martin ci catapulta in una ambientazione mozzafiato. Raramente nelle pellicole uscite in questi ultimi anni possiamo trovare una tale cura scenografica.
La contea degli Osage è viva e pulsante. Scorsese ci trasporta al tramonto dell’epopea western e si prende il suo tempo per mostrarci una comunità articolata, ricca di feste, negozi e commercio, in cui, almeno all’apparenza la convivenza tra coloni e nativi americani è pacifica.
Per quanto riguarda il lato tecnico c’è poco da dire, Scorsese non perde il suo tocco neanche con l’avanzare dell’età. Il regista usa sapientemente piani sequenza, panoramiche e prospettive per comunicarci le sensazioni dei personaggi, riuscendo a trasmettercele in maniera semplice e diretta, senza doversi appoggiare a dei dialoghi semplici ed espliciti, ma attraverso un magistrale utilizzo della macchina da presa.
Sceneggiatura e personaggi:
La scrittura dei personaggi risulta essere uno dei punti più forti della pellicola. Una conferma dello stile di Scorsese ma allo stesso tempo con degli approfondimenti inediti per il regista americano.
Un’altra volta si parla dell’America e degli uomini che l’hanno costruita ed hanno contribuito alla sua cultura, non necessariamente dei politici importanti ma su personaggi di secondo piano a livello storico ma che affronta nei suoi vari film: dei mafiosi italoamericani, un reduce del Vietnam, un broker finanziario e molto altro.
Stavolta Scorsese punta su un’ambientazione molto più storica, criticando lo spirito americano di inizio secolo: la competitività, il razzismo, la convivenza forzata e la volontà di voler arricchirsi, di mettersi alla ribalta sopraffacendo il prossimo.
Se la storia la scrivono i vincitori, in questo caso come molto spesso accade l’ha scritta l’uomo bianco, ma per fortuna esiste il cinema ed esiste Martin Scorsese che ha provato, secondo noi riuscendoci magistralmente, a riscrivere una storia dimenticata dando onore ad un popolo che ha subito la forma più subdola della colonizzazione.
Da un lato abbiamo i coloni, spinti dal sogno americano di voler essere sempre qualcosa di più, dall’altro abbiamo il popolo degli Osage, questi ultimi si contrappongono tra il desiderio di voler mantenere vive le proprie tradizioni e chi invece pensa si possa scendere a patti con l’uomo bianco, e trovare una possibilità di riscatto assimilando una parte di quella cultura.
Tra il popolo Osage si genererà quindi un forte dibattito, quale delle due cose è meglio per il nostro popolo? Possiamo davvero convivere con l’uomo bianco, perdere una parte di noi in favore della tecnologia e del commercio? Oppure dovremmo allontanarli e vivere le nostre vite separatamente, consapevoli dei massacri avvenuti in passato? Possiamo fidarci oppure no?
Il film non racconta di una guerra, non è prettamente un film western per come lo concepiamo e non è nemmeno il classico gangster movie, tanto caro al regista classe 1942. Ma allora cos’è Killer of the Flower Moon?
È un film su tantissime cose, ma forse più di altre, è un film sull’avidità della società moderna. I protagonisti su cui si regge il film sono 3: Leonardo Di Caprio, che ci ricorda per tutto il film quanto i soldi gli piacciano, Robert De Niro, che i soldi li ha già ma non gli bastano e ne vuole ancora, e poi c’è Lily Gladstone, che ama i dolci e per questo la vita l’ha punita con la malattia più amara, il diabete. C’è una cosa che accomuna queste tre figure ed è, per l’appunto, l’avidità.
Non è però il classico desiderio di potere a cui il regista statunitense ha sempre strizzato l’occhio, creando dei personaggi sì cattivi ma di cui quando partivano i titoli di coda eri riuscito, in qualche modo, ad empatizzare con loro. Pensiamo a Jordan Belfort nel celeberrimo The Wolf of Wall Street, che nonostante tutti i crimini e gli eccessi che ci vengono mostrati, ti alzi alla fine del film e sei convinto che tu quella penna la sai vendere.
In quest’ultima opera invece Scorsese non fa solo marcia indietro ma cambia totalmente rotta, facendoci vedere l’avidità oscura e subdola dell’uomo bianco verso un popolo innocente, che la storia molto spesso ha deciso di dimenticare. Scorsese lo sa e infatti fa interpretare l’unico personaggio positivo del film dalla bravissima e papabile futuro premio Oscar Lily Gladstone. Riesce grazie alla sua bravura a rubare più di una volta la scena a due pesi massimi come De Niro e Di Caprio, sopperendo ad un ritmo che nella parte centrale del film si fa leggermente pesante.
La sceneggiatura firmata da Eric Roth, crea senza troppo esagerare, il miglior personaggio femminile della lunga carriera di Scorsese. Mollie Burkhart è una donna moderna che su di sé tiene il peso di una famiglia composta da sole donne che vedrà lentamente cadere sotto i colpi dell’uomo che amava. Lily Gladstone, discende dalle tribù dei Nasi Forati e dei Piedi Neri, riesce in maniera estremamente naturale a trasmettere la condizione di straniero in casa propria che vivono i discendenti dei nativi americani.
Su De Niro e Di Caprio c’è poco da dire. Il primo, all’età di 80 anni, non pensa ancora alla pensione e sforna l’ennesima prestazione sontuosa, questa volta vestendo i panni del cattivo della storia. Riguardo Di Caprio, di cose da dire ce ne sarebbero fin troppe, qui ci limiteremo solamente a ringraziarlo per aver dato un contributo non solo come attore, ma in una piccola parte anche come sceneggiatore, impuntandosi con Scorsese di cambiare prima ruolo e poi riscrivere un personaggio da capo (non vi possiamo dire di più per non incappare nello spoiler).
In conclusione:
Scorsese dipinge una tela ricca di contenuti ed estremamente ramificata, supportato dalla sua tecnica ancora eccellente e da un cast di attori principali e non in forma smagliante. I temi trattati nel film sono molteplici, il che giustifica l’immensa durata del film, che risulta essere uno dei pochi difetti del film.
Sia chiaro, per raccontare una storia del genere e con così tanta cura era necessario un minutaggio alto, tuttavia pensiamo che qualche taglio si potesse fare. La struttura del film è come divisa in tre, con un inizio ed una fine ben strutturati, mentre nella parte centrale c’è qualche problema di ritmo che può rendere la visione del film molto impegnativa, unita anche ad alcuni piccoli salti temporali poco chiari ma che non rappresentano un grande problema.
Al di là di questi problemi (minuscoli se paragonati all’immensità del film), Scorsese ancora una volta ci ha portato del grande cinema , le quasi tre ore e mezza potrebbero scoraggiare la visione, ma noi di Xeud vi assicuriamo che ne vale assolutamente la pena, e la visione di un film del genere è da fare assolutamente in sala, se siete interessati prendetevi il vostro tempo e rispettate l’intenzione di un grande artista come Martin Scorsese.
Il film finora a livello di critica è andato benone, se anche tu hai visto Killers of the Flower Moon cosa ne pensi? Per altri approfondimenti e notizie, vi ricordiamo di seguire il nostro sito.
Recensione a cura di Luca Di Cesare e Oliver Cigala