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Beau Ha Paura, e noi con lui. Recensione dell’ultima opera di Ari Aster.

root • 9 Maggio 2023

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Quando nel 2019 “Midsommar” uscì nelle sale, fu uno dei pochi horror a causare istantaneamente chiacchiericcio online. Tutti furono incuriositi da questo horror “alla luce del sole”, caratterizzato da una estetica inquietante e riconoscibile fatta (semplificando) di fiori, crocifissi e tuniche bianche. Dopo un anno, la sua fama si era diffusa oltre le cerchie di cinefili appassionati, il titolo era già arrivato nel mainstream, superando il successo che già aveva ottenuto “Hereditary”. Dopo quattro anni si può parlare di un cult moderno.

Per questo, attorno al nuovo film di Ari Aster, prodotto dalla ormai monumentale A24, uscito da poco nei cinema, si era creato un certo interesse: “Beau Is Afraid” segue l’epopea di Beau, un uomo inetto e pieno di ansie interpretato da Joaquin Phoenix, per ritornare a casa dopo la traumatizzante morte della madre, passando per morti violente, viaggi onirici e personaggi mentalmente instabili. In molti erano a attendere questo opera che si presagiva, già dai trailer, diversa dalle precedenti. Una commedia surreale, con si tinte orrorifiche ma anche elementi demenziali, una storia d’amore e una “grande avventura” dove il protagonista affronta le sue paure più oscure. Per Aster questo era il grande salto: o si sarebbe confermato un autore versatile, geniale e visionario, oppure avrebbe fatto il passo più lungo della gamba fallendo in un minestrone indigestibile. In entrambi i casi, avrebbe fatto discutere.

Sono andato a vederlo in sala con un’ amico, che non conosceva nulla delle opere precedenti del regista. Durante la visione però ci siamo ritrovati su più punti:
partendo dal lato tecnico, il film è inattaccabile, avendo praticamente tenuto gli stessi nomi con cui aveva realizzato “Midsommar”. Alla composizione delle strepitose musica troviamo “The Haxan Cloak” (nome d’arte del musicista Bobby Krlic) alla fotografia il fedelissimo Paweł Pogorzelski (con cui Aster lavora dai primi corti) e al montaggio Lucian Johnston. La regia qui è maturata notevolmente, regalando carrellate e primi piani memorabili, senza risultare manierista, e che riescono perfettamente a fare immergere lo spettatore nella storia. Mentre già la storia può essere esaminata nel dettaglio.

Nei cinque atti che dividono il film, il primo ambientato nel quartiere dove vive il protagonista è sicuramente il migliore. La via della città di Corrina dove vive il protagonista è messa in scena con assurdità, ma il tutto comunque ci appare, ancora, al limite del realistico. Sembra una di ritrovarsi nella sporca New York raffigurata in “Taxi Driver“. Ogni sequenza diverte, stimola alla visione e ci mostra perfettamente la vita disagiante di Beau. Tutto ci appare con tono drammatico, regia musica e recitazione fanno tutto per emergere questo aspetto, eppure è impossibile non ridere per le situazioni surreali che si susseguono sullo schermo, alternando momenti drammatici e umoristici. La scena dove Beau corre a prendere la bottiglia d’acqua prima che le pillole abbiano l’effetto mortale ne è l’esempio perfetto, in sala i più stavano sorridevano. E questa era preceduta da una dolorosa chiamata con la madre, dove Beau mostra il lato più debole del suo carattere, che non sa che decisione prendere in ogni situazione. Sarà che non riusciamo a immedesimarsi nella sua vita perché troppo irrealistica? Forse.

Il secondo atto, ambientato nella casa della delirante famiglia di Roger e Grace, segue lo stesso mood: i due coniugi non appaiono proprio normali fin da subito, l’insopportabile figlia Toni rivela un lato drammatico spiazzante, soprattutto nell’amaro destino che le attende, e il disturbato veterano Jeeves è inquietante dalla prima apparizione. Personaggi che tengono alto l’interesse e che fanno da specchio a quella che poi si dimostrerà la famiglia di Beau, che intravediamo per la prima volta nel flashback della crociera con la madre, e che si dimostra alla fine un evento traumatico per Beau. La prima ragazza di cui effettivamente si innamora le viene strappata dalle braccia, mentre gli chiede di aspettarla. Forse il momento più commovente del film, poiché totalmente privo di quello humor nero che fino ad allora permeava la pellicola, e raccontato in un modo tanto semplice quanto toccante.


Il terzo atto, nel bosco con un gruppo di attori teatrali itineranti, è marcata da due sequenze fondamentali: la scena onirica e la strage. Quello che ci aspetta quando inizia lo spettacolo teatrale in cui Beau si immerge è una semi-spiegazione di quello che abbiamo visto e di quello che vedremo, in maniera tanto didascalica quanto spiazzante. Sul dubbio che sia veritiero o meno dovremo aspettare la fine, ma fino a quel punto si può chiedere se quella illustrazione sia fatta unicamente per lo spettatore. Infatti la scena risulta troppo lunga, seppur messa in scena con pregio da animazioni bellissime, ma forse non necessaria al racconto. Al mio amico, non abituato a spettacoli così, invece è parsa molto bella e utile, pur riconoscendo la lunghezza. A seguito di questo trip infatti segue l’allucinante spargimento di sangue che Jeeves compie arrivato al teatro, un’altra scena ai limiti del grottesco e che per gli amanti del gore una risata non può che strappare, soprattutto per il modo in cui muore alla fine il soldato. Tra le tante morti c’è anche quella del “padre” di Beau (che un minuto prima abbiamo saputo essere deceduto prima che il figlio nascesse in maniera abbastanza caricaturale), o almeno cosi lui crede, che sarà l’elemento che lo porterà, sul finale, ha distaccarsi e mettere in dubbio l’autorità materna.

Col sopraggiungere del penultimo atto alcune sotto-trame del film iniziano a concludersi: torna la “ragazza giusta” di Beau, Elaine, in una delle scene di sesso più assurde che il cinema possa aver mai visto (roba che nemmeno “9 settimane e ½”), e rappresenta, per molti, l’ultimo momento di divertimento prima di un finale straziante. Infatti col ritorno in scena di un dato personaggio inizia un confronto che lo spettatore sente confusionario e ambiguo riguardo a due figure, che non fanno che rinfacciarsi chi sia la causa di tutti i problemi familiari, se lei, che ha nascosto il segreto del padre e ha infranto totalmente la sua privacy, o Beau, che si è sempre dimostrato poco affettuoso e distaccato. Il tutto culmina con la scena in soffitta, che ancora una volta spiazza tutto quello che fino ad allora potevamo aspettarci per quanto riguarda la risoluzione di uno dei misteri cardine del film, e con probabilmente la scena più disturbante che fino ad ora il cinema di Aster abbia prodotto. Nel vedere ciò, ci si interroga sul significato che tutto questo ha (non ne cerchiamo la motivazione logica, in fondo finora non è servito). Probabilmente per sottolineare ancora una volta come al centro della storia ci sia la vita sessuale di Beau, mai maturata, e per un rimando alle teorie freudiane sul complesso di Edipo. Sta di fatto che con questa scena culmina il climax di orrore e irrealtà costruito dall’inizio del film, spiazzando il pubblico che rimane totalmente stranito dalla visione, perché anche se il film finora aveva sì toni grotteschi e demenziali, a una cosa così assurda difficilmente si poteva essere pronti. Il mio amico è rimasto totalmente spiazzato dalla scena, e da lì si è interrogato che strada volesse prendere la storia. Perché dopo questo effettivamente vale tutto.


Nel finale infatti, possiamo chiederci se quello che abbiamo finora assistito è reale o meno. Quando Beau si troverà processato per le sue “colpe”, sorge spontaneo se quello che stiamo vedendo non sia tutto nella sua testa, magari prima di un suicidio. Cosa abbiamo assistito per tre ore di pellicola? Quanto era vero e quanto era finto? Chi aveva ragione tra madre e figlio? Risposte che sarà lo spettatore a cercare. Finiti i titoli di coda, lasciato Beau al suo destino, in sala c’è chi ha pure timidamente applaudito al film.

Dopo un giorno, né io né il mio amico siamo venuti a capo di cosa sia effettivamente reale o no. Per lui c’è la possibilità che sia tutto l’effetto delle pasticche digerite a inizio film, per me molto di quello che abbiamo visto è accaduto realmente, a parte l’atto finale che potrebbe essere un’allucinazione. Ma entrambi comunque abbiamo capito cosa il film metteva al centro: la vita problematica di un uomo che, a causa di un complicato rapporto con la madre, non ha potuto vivere la sua vita. Beau ha paura di scegliere, di sbagliare, e di ferire gli altri. E noi scopriamo da cosa nasce tutto ciò, cosa ha comportato vivere in questo modo. Possiamo paragonare questo film a una enorme seduta terapeutica, che esorcizza noi e i nostri peccati, e che, forse, ci aiuterà a non fare la fine di Beau.

VOTI:
Lato Tecnico: 9.5
Musica: 9
Narrativa: 9
Recitazione: 9.5


VOTO: 9

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