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L'horror nella cultura POP tra Anime, Serie TV e Videogiochi

root • 15 Giugno 2024

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L’horror è un linguaggio universale, anche se il termine più calzante trovo sia “trasversale”. Proprio perché è un veicolo perfetto per trasmettere e imprimere con più forza un’emozione.

Un’opera horror può veicolare romanticismo, dramma, comicità, il tutto con un’efficacia assolutamente unica grazie all’attrazione irrinunciabile e abissale che esercita sulle corde più nascoste dell’animo umano o, se preferite, della sua psicologia. Questa incredibile capacità adattiva non riguarda solo il contenuto, ma anche il contenitore.

L’horror si costruisce su un set e si consuma al cinema, ma anche sfogliando un libro la sera, avviando un gioco sul pc, indossando un visore VR, ascoltando un podcast, una colonna sonora, camminando tra statue, tele, installazioni. Io sono Charlie, e ho fatto dell’horror una passione che evolve, muta, mi accompagna fin da bambino, da quando sfogliavo il mio primo “Piccoli Brividi”.

Per questo motivo sono felice di collaborare con i ragazzi di Xeud Italia per una bella digressione sull’argomento. Di seguito un breve approfondimento sul genere horror nei 3 grandi topic della cultura POP: Anime & Manga, Serie TV & Film e Gaming.

ANIME E MANGA

Il tema dell’orrore nel mondo degli anime ha ovviamente origine da quello dei manga, ma non abbiamo una precisa data d’inizio, le prime tracce di queste tematiche appaiono già nel 700, però possiamo dire che le prime storie in formati simil manga che comprendevano elementi sovrannaturali e di paura fanno la loro apparizione nei primi del 900 in alcune riviste giapponesi. Queste riviste, in realtà, non trattavano veramente “l’horror” che conosciamo oggi, ma si limitavano alle classiche “storie di fantasmi” (kaidanbanashi).

L’evoluzione del genere è stata favorita da una combinazione di fattori a partire dagli anni 40’, tra cui il proliferare di queste riviste e l’arrivo in Giappone di diversi film horror americani e britannici, che hanno portato ad arricchire le storie all’interno dei manga aggiungendo ai temi classici della vendetta: storie basate su paure irrazionali o psicologiche, fenomeni soprannaturali, rituali voodoo, magia e stregoneria. Anche il setting è cambiato iniziando a esplorare non solo più il Giappone del passato, ma anche diverse parti dell’Europa, in particolare quelle del nord.

La vera svolta arriverà successivamente negli 60’ con il boom generale dei manga grazie a Tezuka, che porterà un aspetto molto importante, ovvero quello della figura del ragazzo (shonen) come protagonista. Le storie horror iniziano ad allontanarsi dal semplice raccontare un avvenimento sovrannaturale e si spostano verso una narrazione centrata su un personaggio specifico, spesso, appunto, un ragazzo/ragazza. Tra i vari autori che hanno contribuito ad evolvere questo stile abbiamo “Mizuki Shigeru” nel 1959 con GeGeGe no Kitaro, che vede proprio un ragazzo al centro di un mondo popolato da figure sovrannaturali in una atmosfera cupa e grigia.

Il Giappone è per eccellenza il paese degli opposti, dove il bello è il brutto coesistono in un unico corpo; infatti, Umezu Kazuo è uno dei primi autori a unire aspetti così discordanti. Nei suoi manga, questa dualità è resa ancora più evidente da una mirabile resa grafica che mescola violenza e atrocità con personaggi disegnati come fossero innocenti bambole di porcellana. La “bellezza” dei personaggi principali si contrappone alla “bruttezza” degli “antagonisti” spesso vittime della società o di qualche esperimento mal riuscito che li rende irriconoscibili o ripugnanti, come nel manga Hangyojin (1971).

Questa coesistenza degli opposti, in realtà, la ritroviamo anche in alcuni macro-generi dell’horror, come l’”Henshintan” o semplicemente “Storie della trasformazione”. Il folklore giapponese offre una serie di storie con al centro animali, come la volpe, il serpente o la gru che si trasformano improvvisamente in belle donne per vendicarsi o per intrappolare l'uomo e portarlo alla rovina. Una figura molto importante e quella della donna kitsune (volpe) che ritroviamo in diverse opere, degna di essere citata è “Ōoku no Kitsune” di Kazuo Kamimura all’interno delle “13 notti di rancore”.

Da questo momento, il genere horror si avvicinerà sempre di più a quello che conosciamo oggi, con altri autori importanti come Junji Ito, Hideshi Hino, Usamaru Furuya (e più recentemente con Shuzo Oshimi, Sui Ishada).

In conclusione, è doveroso specificare che il genere horror giapponese è molto vario e si estremizza e capillarizza in diverse direzioni, tra cui la più nota è quella dell’eroguro, che nasce ancora prima del concetto stesso di manga horror ed è la rappresentazione dell'unione tra erotico e grottesco. Questi manga creano delle rappresentazioni uniche con lo scopo di evidenziare degli aspetti dell’essere umano che non potrebbero essere analizzati altrimenti. Tra gli autori più famosi troviamo: Shintaro Kago, Suehiro Maruo, Toshio Maeda e altri (XEUD ha già trattato questa tematica in questo video)

Diversi manga a tema eroguro potete acquistarli da Hollow Press.

SERIE TV E FILM

Come dicevamo, l’immaginario horror giapponese si va ad arricchire dagli anni ’40 in poi, più precisamente la fine della Guerra mondiale e la conseguente sconfitta dell’impero nipponico portarono, oltre a 2 bombe atomiche, anche una serie di prodotti made in USA come, per esempio, i film di Hollywood, tra cui i film dell’orrore che piano piano stavano prendendo sempre più piede come uno dei generi principali della filmografia di quegli anni.

Fin dalle origini l’Horror come genere cinematografico ha avuto una grandissima fortuna riuscendo ancora oggi a portare in sala moltissimi spettatori. Il genere Horror tra i vari generi “madre” del cinema Hollywoodiano è forse quello che ha visto nascere il più alto numero di sottogeneri. Questo sicuramente è stato uno dei motivi del suo grande successo di pubblico ancora oggi perché ha saputo rinnovarsi di volta in volta.

Uno dei primi registi ad affacciarsi a questo genere fu uno dei padri fondatori della settima arte, sto parlando ovviamente di Georges Méliès e del suo LE MANOIR DU DIABLE del 1896. Con la sua opera Méliès diede il via a un modo di fare horror che usava tematiche molto evocative come il lato oscuro della personalità, elementi esoterici legati al mondo dell’occulto. Questo film muto, considerato il primo di questo genere, non puntava tanto sull’aspetto narrativo ma più sull’impressionare lo spettatore grazie a trucchi ed effetti speciali tipici del cinema degli albori. Da lì in poi, con l’evoluzione delle tecniche cinematografiche, il genere Horror acquisisce sempre più importanza potendo contare su tecniche registiche all’avanguardia.

Passano gli anni e il cinema diventa sempre più un’industria dell’intrattenimento da cui trarre una quantità pressoché infinita di profitti. I produttori della Hollywood delle origini iniziano perciò a fare film basati sulle figure più famose della letteratura dell’orrore. Sono gli anni in cui vengono girati i primi film di Dracula, Frankenstein, il dottor Jekyll, dando il via ad un filone con protagonisti creature mostruose.

Lo scoppio della Seconda guerra mondiale però cambia tutto. L’essere umano di fronte agli orrori della guerra ha bisogno di altre paure più “vere” o quantomeno plausibili. Si iniziano perciò con gli anni ’50 a produrre film basati sulle invasioni aliene, chiaro riferimento alla guerra fredda e al pericolo di un’avanzata sovietica. Sono gli anni in cui il modello cinematografico made in USA viene esportato nel mondo tra cui, come dicevamo, anche in Giappone.

Passano gli anni e il genere acquisisce sempre più fama e popolarità. I registi e produttori iniziarono a scavare nel profondo della paura umana trovando di volta in volta una nuova paura da mettere sul grande schermo. Siamo arrivati agli anni ’60 e il genere dell’Horror psicologico riempie le sale di tutto il mondo grazie soprattutto al film capolavoro Psyco del 1960 diretto dal regista britannico Alfred Hitchcock. Questo fu uno dei primi film a spostare l’attenzione dai classici mostri alle ben più paurose psicosi umane. Le sale si popolano di pazzi serial killer che terrorizzano gli spettatori.

Verso la fine del decennio iniziano a comparire film a basso budget che però, nonostante ciò, diventano dei cult senza tempo. Mi riferisco a La notte dei morti viventi (1968) di George A. Romero. Con gli anni ’70 assistiamo ad un ritorno dell’occulto soprattutto in chiave pseudo religioso. Nel 1973 uscì nelle sale L’esorcista, un altro di quei film che fece storia creando da zero un sottogenere destinato a molto successo ancora oggi. Questi sono gli anni in cui grandi registi si affacciano al genere potendo contare su un’ampia libertà registica. Mi riferisco al già citato George Romero, Roman Polanski, David Cronenberg, John Carpenter e il nostrano Dario Argento. Gli anni ’70 sono da considerare uno dei decenni migliori per il genere che grazie al suo consolidato successo viene esportato sempre di più, arrivando ad influenzare i registi di tutto il mondo, sia europei che soprattutto asiatici. I primi “non occidentali” ad affacciarsi al genere furono i cineasti di Hong Kong, che cominciarono a produrre film horror con protagonisti mostri e paure tipiche dell’immaginario asiatico. Un filone, quello del Horror dell’Estremo Oriente, che avrà un particolare successo in Giappone, dove nascerà un vero e proprio sottogenere chiamato J-Horror, che si svilupperà principalmente tra la fine degli anni ’90 e i primi del 2000.

Durante gli anni 80 e 90 del Novecento il genere entra in periodo di crisi dovuto soprattutto all’infinita quantità di film prodotti e alla proliferazione del sottogenere dello Splatter. Questi sono gli anni in cui si accende un forte dibattito sul permettere o meno ai minori di usufruire di un certo tipo di film e gli Horror subiscono campagne denigratorie che segneranno gli incassi al cinema di molte pellicole. In questi anni vengono girati dei capolavori del genere come: La cosa del 1982 di John Carpenter, La casa (1981) diretto da Sam Raimi o La mosca (1986) di David Cronenberg, che però al botteghino non avranno quel successo che poi avranno nel corso del tempo fino ad essere definiti dei veri e propri cult.

La proliferazione di sequel e la conseguente mancanza di originalità fanno sprofondare il genere in una profonda crisi, sarà però l’asia e in particolar modo il Giappone a salvare l’industria cinematografica dell’Horror hollywoodiano. Sono questi gli anni, come dicevamo, in cui nasce e si sviluppa il J-Horror, raggiungendo una fama planetaria tanto da essere importati e imitati dalla stessa Hollywood che si trovava in quegli anni a corto di idee.

Il filone dell’Horror giapponese lascia da parte la spettacolarizzazione del sangue per concentrarsi su temi prettamente psicologici. Il maggior esponente di questo nuovo genere originale è Hideo Nakata che con il suo Ring del 1998 andò a riscrivere i canoni del Horror. Nakata riesce a porta sul grande schermo la figura degli yūrei fantasmi tipici giapponesi. La novità portata dal cineasta giapponese è la perfetta coniugazione tra gli elementi tipici del folklore giapponese e caratteristiche più moderne come apparecchi tecnologici di uso quotidiano. Ne è un esempio perfetto la famosa quanto inquietante videocassetta protagonista del film in questione che va a sostituire lo scrigno maledetto tipico di questi racconti. In particolare, gli yūrei protagonisti di questo nuovi film sono le onryō spiriti di genere femminile, che per via di una morte cruenta continuano ad essere legati al mondo terreno in cerca di una loro personale vendetta. Questo tipo di personaggi si rifà al teatro tipico giapponese in cui queste creature veniva rappresentate vestite di bianco e molto spesso con lunghi capelli pettinati apposta per coprire il viso, esattamente come lo spirito protagonista di Ring. Il successo di questo tipo di film è enorme e i produttori statunitensi non si fanno scappare l’affare iniziando a produrre fin da subito dei remake.

I motivi del successo di queste pellicole sono molti come, per esempio, il particolare stile narrativo che è più lento di quello a cui Hollywood ci aveva abituati, in cui il carattere psicologico dell’Horror è al centro dell’opera, dove la tensione, costruita piano piano durante il film, riesce a tenere lo spettatore incollato allo schermo.

Con l’arrivo del nuovo millennio assistiamo ad una ripresa lenta ma progressiva del genere in termini d’incassi. Questo fu dovuto oltre al già citato J-Horror anche grazie alla nascita di videogiochi a tema Horror a cui si ispirarono molti film dei primi anni 2000, tra tutti ricordiamo il grande successo di Resident Evil del 2002 e Silent Hill del 2006.

Ai giorni nostri il genere ha acquisito sempre più valore alternando pellicole di dubbia qualità a film che invece cercano di trattare temi più complessi che vanno ad analizzare la società e la natura umana in tutte le sue sfaccettature. Se da una parte è rimasta la tipologia classica di film che hanno come punto focale lo spavento dello spettatore, dall’altra assistiamo alla produzione di film più maturi, ma non per questo meno terrificanti. Mi riferisco a due registi in particolare che negli ultimi due decenni hanno raggiunto una fama internazionale: Ari Aster e Jordan Peele. Il primo, con i suoi due film più famosi Hereditary – Le radici del male uscito nel 2018 e Midsommar del 2019, è riuscito a ridare valore al sentimento stesso di paura creando un terrore basato più sull’introspezione psicologica che sulle classiche scene di paura. Jordan Peele invece si è concentrato più per i suoi film su un’aspra critica sociale in particolar modo al razzismo dilagante della società statunitense. I suoi due film (fino ad ora) più famosi sono Get out (vincitore di un Oscar come miglior sceneggiatura originale) e Us, entrambi con protagonisti degli afroamericani. In conclusione, se lo scopo ultimo dei film Horror è stato fin dalle sue origini quello di spaventare lo spettatore in sala, oggi sempre più registi prendono spunto dalle paure quotidiane che ognuno di noi vive, perché ciò che fa veramente paura non sono i mostri ma il mondo là fuori in cui viviamo.

GAMING

L'horror nei videogiochi è un genere che ha saputo evolversi nel corso degli anni, passando da semplici elementi spaventosi a esperienze immersive che sfruttano al massimo la tecnologia disponibile. Dal pixel art dei primi giochi alle complesse realtà virtuali odierne, l'horror nel gaming ha sempre avuto l'obiettivo di suscitare emozioni intense e durature. In questo articolo esploreremo l'evoluzione del genere, analizzando i momenti chiave, i titoli più influenti e le innovazioni tecniche che hanno ridefinito la paura digitale.

L'horror nei videogiochi ha iniziato a prendere forma negli anni '80 e '90. Un esempio importante è "Sweet Home" (1989) per NES, considerato uno dei primi veri survival horror. Questo gioco, ispirato a un film horror giapponese, introdusse elementi come la gestione delle risorse e una trama avvincente, che sarebbero diventati caratteristici del genere.

Negli anni '90, l'horror nei videogiochi ha fatto un enorme salto in avanti con "Resident Evil" (1996) di Capcom. Questo titolo ha definito il concetto di survival horror grazie alla sua atmosfera opprimente, alle risorse limitate e ai puzzle complessi. "Resident Evil" è diventato un punto di riferimento, evolvendosi nel tempo e ispirando moltissimi altri giochi.

L'epoca d'oro del survival horror è arrivata con giochi come "Silent Hill" (1999), che ha portato un nuovo livello di profondità psicologica all'horror. Utilizzando nebbia e oscurità per limitare la visibilità, il gioco creava un senso di isolamento e terrore dell'ignoto. La colonna sonora di Akira Yamaoka ha avuto un ruolo fondamentale nel costruire un'atmosfera inquietante e indimenticabile.

Altri giochi importanti di questo periodo includono "Alone in the Dark" (1992), che ha combinato puzzle complessi con ambientazioni tridimensionali, e "System Shock" (1994), che ha trasportato l'horror nello spazio, influenzando successivamente titoli come "Dead Space" (2008).

Con l'arrivo del nuovo millennio, il genere horror nei videogiochi ha continuato a crescere e a innovarsi, sfruttando le nuove tecnologie e le tendenze emergenti. "Resident Evil 4" (2005) ha rivoluzionato la serie, introducendo una visuale sopra la spalla e un'azione più intensa, riuscendo a bilanciare perfettamente la paura e il dinamismo.

Poi, nel 2010, è uscito "Amnesia: The Dark Descent", che ha riportato il survival horror alle sue radici. Questo gioco si è concentrato sull'impotenza del giocatore e ha utilizzato in modo magistrale la luce e l'oscurità per creare tensione. "Amnesia" ha aperto la strada a una nuova ondata di giochi horror indipendenti, come "Outlast" (2013) e "Layers of Fear" (2016), dimostrando che anche piccoli studi potevano creare esperienze spaventose e innovative.

Negli ultimi anni, l'horror nel gaming ha abbracciato la realtà virtuale, offrendo esperienze ancora più immersive e spaventose. Giochi come "Resident Evil 7: Biohazard" (2017) e "Phasmophobia" (2020) hanno sfruttato la VR per immergere i giocatori in mondi terrificanti dove la paura è tangibile e immediata.

La VR consente un livello di immersione senza precedenti, rendendo ogni suono, ombra e movimento molto più spaventosi. Il futuro dell'horror nei videogiochi sembra quindi puntare verso esperienze sempre più coinvolgenti, dove la linea tra gioco e realtà diventa sempre più sottile.

 

La collaborazione tra Charlie e XEUD è solo all'inizio e affronterà diversi aspetti del mondo horror in ognuno dei nostri 3 topic. Vi rimandiamo a seguirci su Instagram per rimanere sempre aggiornati sui nostri prossimi contenuti.

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