Il Giappone, nei secoli addietro, ha mantenuto una lunga tradizione riguardante le pratiche balneari comunali, che troviamo ancora adesso nei sento e negli onsen odierni. Il seguente scritto si propone quindi di far conoscere la loro storia generale, analizzandone la loro evoluzione culturale e stilistica.
INDICE
IL PERCORSO EVOLUTIVO DELLO STILE BALNEARE
Fonte di riequilibrio psico-fisico e di convivenza sociale, questi luoghi sono riusciti ad entrare nel profondo della cultura giapponese e a conformarsi alle nuove esigenze proposte dall’occidentalizzazione. Così come lo è andare al cinema, anche recarsi in un bagno pubblico è diventato nel paese del sol levante un fenomeno ampio e stratificato normalmente praticato. Un elemento insito nella quotidianità, che si è fatto conoscere anche a noi occidentali grazie al turismo e alla loro frequente apparizione nei vari multimedia.
Cosa sono gli Onsen e i Sento?
Nell’evoluzione geologica del Giappone, la terra che oggi osserviamo è il risultato di vari processi tettonici avuti origine a causa dello scontro tra placche oceaniche e continentali. Uno spremersi a vicenda che ha creato una situazione tale da far risalire il magma a una distanza di pochi chilometri, e permettere il riscaldamento delle sorgenti naturali presenti nel territorio, alimentate dalle piogge meteoriche. In breve, quindi, gli ONSEN (hot-spring) sono degli stabilimenti balneari contenenti acqua termale, arricchita dai gas vulcanici, e quindi da una serie di minerali che la rendono unica e utile per la salute
Col tempo sono nate anche le strutture pubbliche dedicate alla balneazione quotidiana nelle città, che utilizzano l’acqua direttamente prelevata dal sistema idrico del Paese. Chiamati SENTO (old japanese coin - hot water), si differenziano dagli onsen per non avere particolarità qualità benefiche. Tuttavia, entrambe al giorno d’oggi hanno, come scopo principale, quello di permettere ai giapponesi di rilassarsi e godere di una tranquillità che difficilmente può essere trovata in altri luoghi.
LA STORIA DEGLI ONSEN
Prima del 1400
Le sorgenti termali, quindi, furono da sempre notati dai nativi giapponesi, per la loro ampia distribuzione geografica causata dalla presenza di molteplici archi vulcanici attivi. Non si sa come vennero utilizzate prima del 1400, tuttavia l’opera “the book of wei” (compilato da Wei Shou dal 551 al 554) suggerisce che, all’inizio del periodo Kofun (300-552 d.C), i nativi giapponesi praticavano dei bagni rituali nei fiumi e nei torrenti, influenzati dalla tradizione shintoista del misogi (decontaminare il corpo). La certezza di un primo utilizzo degli onsen, che prevedeva anche una certa attività di gruppo, si ha però solo nel VI secolo, quando il buddismo incominciò a essere importato, assieme a tutti quei miti di dei che si facevano il bagno a scopo purificatorio. Lavarsi il corpo diventò qualcosa di più della semplice asportazione delle impurità del corpo a scopo simbolico, e venne inserito come parte di un rituale pre-cerimonia. Difatti, con la costruzione dei primi templi buddisti nel periodo Asuka, e i successivi complessi templari del periodo Nara, come il Todaiji, diventò usuale utilizzare questi stabilimenti balneari per le pratiche religiose. All'interno di essi i sacerdoti, prima di una cerimonia importante, si lavavano attraverso piccole vasche di legno, alimentate dall'acqua riscaldata in un grande calderone di rame.
In poco tempo, l'idea religiosa di fare il bagno per sanificare il proprio spirito, si fece strada anche nelle corti imperiali, diventando parte d'inizio o di conclusione di un rito, per le visite a un determinato tempio o per cerimonie inaugurative. Quest'ultimo veniva eseguito, per esempio, prima dell'ascesa di un imperatore, o della nomina di un principe ereditario, o dell'ingresso a corte di una consorte imperiale, in modo tale da lavare via simbolicamente le impurità acquisite in vita, prima di ascendere a uno "stadio superiore". Più avanti nei secoli, precisamente nel periodo Kamakura, in cui nacquero le prime scuole buddiste in Giappone, questi bagni assunsero un carattere fortemente devozionale (nenbutsuyu), nei confronti dei bodhisattva, a cui si rendeva lode pregando all’interno di essi. Una manifestazione di fede che servì anche per diffondere maggiormente il credo buddhista ai cittadini comuni.
Un esempio di carità in un tempio buddista
Il bagno "religioso" non fu però l'unica usanza da dover considerare, perchè verso la fine del VII secolo si svilupparono modalità d’uso del bagno atte alla beneficenza o all'assistenza sociale (detti yuden o furuden). In questo caso l’origine vi risiedeva nella pratica di offrire, all’interno dei templi, dei bagni occasionali ai membri laici, e successivamente alle persone in condizioni precarie. Ideali di bontà che finirono per ispirare i più ricchi, i quali misero a disposizione il proprio denaro per supportare i bagni per i poveri. L'esempio più eclatante è quello dell'imperatrice Komyo, che giurò di lavare a mano "mille mendicanti" in uno dei bagni del tempo di Nara, cosa che fece seriamente. Tuttavia, in questi atti di carità, ci furono anche palesemente dei secondi fini, come in questo caso per motivi politici, di prestigio, oppure spirituali, del tipo onorare i propri antenati, o garantirsi la salvezza dopo la morte. Alla fine, nonostante queste rare occasioni offerte alla gente comune, la pratica di fare il bagno nei templi era ormai diventata usuale più che altro per le elitè.
Distaccato dalla scia religiosa, nel periodo Asuka, nacque un altro tipo di bagno più ricercato detto "terapeutico" (kusuriburo). Le prime testimonianze fanno capire che alcune sorgenti termali furono oggetto principale curiosità da parte di imperatori e altri esponenti d'elitè di questo periodo e del successivo. Questi, infatti, andavano apposta a visitarli, come quello famoso di Arima, a scopo di recupero personale, suggerendo un possibile iniziale approccio medicinale. Inoltre, con l'apparizione di miti e leggende che dipingevano queste acque come doni offerti all'uomo da animali e divinità, le sorgenti terapeutiche acquisirono col tempo sempre di più un maggior carattere mistico, aumentandone la loro popolarità. Non è un caso quindi che i sacerdoti incominciarono a offrire regolarmente, nel periodo Kamakura, aiuto ai malati nei loro stabilimenti, credendo che potessero trovare refrigerio dalle loro pene. Molti di essi però non erano degli onsen, ma dei bagni a vapore detti "mushiburo". Fonti curative erano infatti anche l’iwaburo (bagno di roccia) e il kamaburo (bagno del forno), odiernamente considerati come i primi antenati delle nostre saune moderne. Alcuni famosi come il kamaburo di Yase a Kyoto furono spesso visitati anche dagli aristocratici.
Tuttavia, partire e lasciare la propria residenza per poterli visitare, non era una cosa che tutti si potevano permettere di fare, tant'è che a metà del periodo Heian, si usò anche costruire dei propri bagni privati. Queste potevano essere vasche riempite di acqua proveniente dagli onsen, o con acqua naturale arricchita di minerali ed erbe aggiunte artificialmente. Un fenomeno però che si stava sviluppando solo nei domini aristocratici, a causa delle risorse limitate del territorio e dei costi poco abbordabili per la massa. Nonostante ciò, l’utilizzo del bagno stava progredendo per essere visto non solo come un rituale da dover praticare per risanare l'animo, ma anche come un modo per poter trovare rifugio in luogo rilassante e accogliente.
Dopo il 1400
Tra il XV e il XVI secolo i bagni pubblici ad acqua termale e a vapore aumentarono di numero; infatti, furono costruiti più bagni nei templi e anche nelle residenze dei cortigiani e dei guerrieri (quest’ultimo caso meno comune), diventando un po’ più abbordabili dalle fasce medio-alte. Inoltre, incominciarono ad assumere sempre più un carattere pratico, e quindi incentrato sulla convivenza sociale e sul benessere dell’uomo. Sotto questa prospettiva, quelle a carattere più religioso rimasero ancora attive (si facevano ancora spesso le abluzioni prima dei riti) ma percepite in maniera meno rigida. Si potevano adesso tenere servizi commemorativi per i defunti, o mettere in pratica atti di carità e benevolenza sociale anche nelle residenze private dei nobili. Tuttavia, l’uso che ne si faceva era ristretto ai soli parenti e conoscenti di rango inferiore del mecenate, e non più ai bisognosi qualsiasi.
Per fortuna, questa apparente regressione in qualità di disponibilità fu accompagnata da un leggero progresso riguardante l’aspetto terapeutico delle terme. Diversi imperatori, come Toyotomi Hideyoshi e Tokugawa Ieyasu continuarono a dedicare periodi della loro vita a scopo rigenerativo, ma allo stesso tempo anche molti tra guerrieri, cortigiani e preti ebbero possibilità di recarsi nelle famose terme di Arima, Yase o Atami per motivi simili. Tuttavia, bagni di questo tipo, oltre che per cura o per piacere, avevano ancora poco a che fare con la pulizia del corpo in senso fisico. Ciononostante, alcuni stabilimenti balneari si dedicarono anche a questo. Alcuni esempi furono registrati nei diari di alcune persone del passato, come quello di un medico chiamato Tokitsune, il quale mostrava come alcuni dei suoi pazienti facessero un lavaggio del proprio corpo post-malattia. Inoltre, era consuetudine per la gente ricca offrire il bagno della propria residenza agli ospiti per etichetta sociale, o come trattamento di favore per i lavoratori. I bagni igienici e terapeutici potevano quindi essere provati, in questi casi, anche da gente meno facoltosa, anche se sempre con certe restrizioni.
Nel periodo Edo le conoscenze riguardo le pratiche igieniche erano ancora poco conosciute, e quindi si incominciò un vero studio riguardo le proprietà curative delle acque degli onsen. Infatti, si diffusero dei libri sui loro aspetti benefici, associati a un’accurata contabilità delle diverse tipologie di sorgenti. Tutto questo fece diventare gli onsen dei veri e propri fenomeni di massa (si svilupparono i primi stabilimenti moderni, gli yuya “negozi di acqua calda”), a tal punto da dover arrivare a fare una divisione delle strutture in base allo status sociale di chi le visitava: gente comune, gente di alto rango, e governatori. Le classi più alte naturalmente avevano più occasioni per frequentarle, mentre il resto se lo poteva permettere in speciali occasioni annuali.
Rotolo raffigurante Yamashiro Onsen, uno stabilimento termale di montagna. In queste zone rurali era possibile
trovare degli onsen frequetati da tutti anche prima del periodo Edo.
Nel periodo Meiji e in quelli successivi, con l’apertura delle ferrovie, fu più facile per la popolazione comune visitarli. Inoltre, grazie diffusione della tecnologia di perforazione e al miglioramento nel campo della chimica, le ricerche vennero poi ulteriormente approfondite, fino ad arrivare a un punto in cui venne dimostrato scientificamente il loro valore terapeutico. Negli anni 30, ormai studiata anche in alcune università, si poteva addirittura prendere una laurea in medicina onsen, e venne fondato uno dei lavoratori di ricerca più importanti, a Beppu Onsen. Studi che servirono per aiutare a guarire le ferite dei sopravvissuti ai bombardamenti atomici, e addirittura in alcuni casi anche dal cancro. Recentemente però, con la perdita di interesse dei giapponesi riguardo l’aspetto medicinale in favore di quello ricreativo, gli onsen vengono visti perlopiù come meta turistica, con cui passare il tempo e divertirsi provando le molteplici attrattive proposte dalle località più ricche e famose.
LA STORIA DEI SENTO
Periodo Muromachi-Momoyama
Per quanto riguarda invece i bagni pubblici comunali, questo secolo è importante perché ci furono i primi esempi chiari di questo fenomeno. Uno dei più rappresentativi è il bagno della residenza Konoe, costruita nel 1482, che diventò un vero e proprio centro ricreativo usato sia da cortigiani e sacerdoti, che dai guerrieri. In sostanza si trattava di un furyuburu (bagno estetico), ovvero un luogo pregno di decorazioni del tipo quadri, vasi e altri oggetti simili. All’interno di esso si poteva mangiare, bere, giocare, e svolgere alcune attività come l’osservazione dei fiori. Tuttavia, avvalersi di uno sfarzo simile non era usuale in un’epoca in cui imperversavano guerre feroci come quella Onin del 1467-1477, e per molti non fu sempre possibile continuare a mantenerli. Con il declino della classe nobiliare, e le spese di guerra, che si traducevano in un maggiore costo di manodopera e riscaldamento, accedere regolarmente a questo tipo di bagni fu difficile per chiunque, e quindi si dovettero adottare nuove strategie economiche.
Per quanto riguarda quelli privati e situati nei templi, uno di questi accorgimenti presi fu quello che ognuno dei bagnanti dovesse portare a sue spese dei pezzi di legno per potere riscaldare l’ambiente (pratica detta gomokuburo). Questo incentivava logicamente ad aumentare i numeri di chi si riuniva per poter fare il bagno, per un massimo di dieci persone alla volta, col fine di portare più materiale e spendere di meno.
Ma la vera rivoluzione si ebbe nel momento in cui a Kyoto si svilupparono i bagni comunali per il popolo (un bagno a penny, un “sentoburo”), gestiti da piccoli imprenditori, e a cui potevano accedervi la gente di fascia medio-bassa. In realtà, furono riscontrati diversi bagni “commerciali” anche nei secoli precedenti, istituiti da alcuni sacerdoti che intuirono di dover fare qualcosa per aumentare l’afflusso di gente. Tuttavia, se era necessario già all’ora distribuire un servizio simile a una fascia demografica un po’ più bassa, nel XV secolo divenne praticamente prioritario incentivare la formazione di bagni a pagamento fisso e adattarli al bisogno comune. Anche in un periodo come quello degli stati combattenti, valeva quindi la pena rischiare il proprio capitale per costruire e gestire un bagno in diverse parti del paese, a dimostrazione del fatto che i profitti ricevuti erano piuttosto considerevoli. Tra il 1400 e il 1600, tale pratica continuò a espandersi, a tal punto che furono identificati più di venti sento a Kyoto, e altri minori sparsi in tutti gli altri quartieri, diventando così emblematici, a tal punto che alcuni incroci assunsero lo stesso nome dello stabilimento balneare a loro vicino. Per poter funzionare, questi bagni seguirono l’ottica del risparmio, utilizzando in modo più efficiente l’acqua calda, e incentivando gli ospiti a venire in gruppo.
Il costo singolo era comunque inizialmente un po’ proibitivo (probabilmente circa il prezzo di un litro di riso, ovvero 8 mon), tuttavia si stavano creando delle alternative più comode ed efficaci. Uno di questi fu quello di rendere disponibile il bagno in affitto (tomeburo), cioè permettere a un gruppo di persone di prendere l’intero spazio per qualche ora, permettendo anche a quelli meno abbienti di poterne usufruire nelle settimane in cui riuscivano a racimolare la somma prevista. Preti, servi, e altra gente di basso rango, se lo facevano, spesso stavano insieme nei momenti in cui i bagni non erano presi in affitto da quelli più altolocati, ma potevano capitare benissimo anche delle mescolanze negli orari pubblici. Questi luoghi furono i primi esempi in cui la gerarchia non imponeva in modo pressante il proprio volere, creando quello che si potrebbe definire un primo filo comunicativo tra gli elite e la gente comune dell’epoca.
Il periodo Edo
Una dimostrazione del fatto che il bagno misto nel periodo Edo era spontaneo tra la gente
Se nel 1500 era quindi ancora un po’ difficoltoso per i popolani delle grandi città visitare questi posti, nel 1600 la pratica di farsi il bagno si era diffusa a tal punto da andare al di là del solo fenomeno urbano. I proprietari dei bagni avevano spesso origini umili, e le loro strutture venivano sovvenzionate per poter essere costruite anche in remoti villaggi rurali, come quelli del Kyushu. Ecco che col periodo Edo, dominato da un periodo di relativa pace e dalla consolidazione del potere centrale, si ebbe quindi la possibilità di migliorare l’utilizzo dei sento grazie alla crescita economica e urbanistica che stava imperversando nel Paese. Inoltre, col maggior afflusso di gente nelle città, si stavano sviluppando dei problemi sanitari, ai quali ci si dedicò con più attenzione. Siccome gli incendi a Edo (l’attuale Tokyo) erano frequenti, furono formulate severe norme antincendio dettate da Tokugawa Ieyasu, che limitarono fortemente l’uso del riscaldamento alla gente comune e alla classe media. Solo quelli più altolocati e le loro famiglie erano esentati da tale obbligo, mentre tutti gli altri (almeno tra quelli che avevano un proprio bagno privato) furono costretti a frequentare i sento per potersi lavare. I bagni del periodo Edo usufruirono di questa imposizione per diventare ancora più popolari, a tal punto che al giorno d’oggi troviamo spettacoli televisivi, film, libri e pitture che li citano e li descrivono.
Facile quindi intuire che ci fu anche una certa fioritura dei vari tipi di bagni pubblici. Per esempio, ci furono dei bagni che ripresero il concetto di gyozui, cioè quello di lavarsi con l’acqua fredda, anche se in questo caso per motivi di rinfresco durante i periodi estivi. Bagni sicuramente molto economici, perché l’unico requisito da dover rispettare era solo avere una vasca di legno da mettere nel proprio giardino o da altre parti della propria abitazione. Ma non solo, si iniziò a considerare anche di dover inserire dei bagni in altre strutture, tipo nelle case da tè, o nei ristoranti, utili per i viaggiatori che volevano rilassarsi prima di cenare e andare a dormire. Addirittura, furono inventati i bagni “mobili” come i “tsujiyu”, ovvero vasche da bagno e acqua calda vendute separatamente all’angolo della strada, oppure i “yubune”, che sono delle piccole imbarcazioni che fornivano il fabbisogno per potersi lavare, usando il fiume come mezzo di trasporto. Ormai affermare che i bagni avessero come unico scopo quello di offrire relax in gruppo è riduttivo, perché stavano diventando sempre più personalizzabili e usabili anche durante le attività quotidiane e tradizionali.
Il rapido diffondersi dei bagni pubblici fu segnato anche dalla presenza degli yunaburo (letteralmente donna dell’acqua calda), ovvero dei luoghi dove si veniva serviti dalle donne durante il bagno, anche attraverso prestazioni sessuali. Assimilabili a dei bordelli, iniziarono a svilupparsi intorno al Xlll secolo a Kyoto e Osaka, per poi proliferare più avanti con gli anni a Edo. Diventarono popolari tra la gente di alto rango, ma ancora di più tra i samurai, la cui frequente apparizione nei luoghi cittadini causò diversi fastidi alla quiete pubblica. Lo shogunato non potette ignorare un simile comportamento, e applicò alcune regole che si inasprirono a tal punto da vietare nel 1658 questo tipo di strutture. Tuttavia, questo danneggiò un po’ le economie dei sento, che si dovettero adattare alla situazione. Una alternativa fu infatti quella di ingaggiare persone di sesso maschile (i sansuke), prevalentemente per aiutare nel lavaggio dei capelli delle donne. Forse in alcuni casi anche queste nuove figure offrivano altri tipi di “assistenza”, ma la loro presenza fu ignorata perché di grande aiuto. Le aiutanti femminili comunque non scomparvero, ma si limitarono a intrattenere gli ospiti post bagno, nel secondo piano dello stabilimento balneare, solitamente adibito proprio per queste ulteriori necessità.
Ma oltre la faccenda della prostituzione, il periodo Edo fu conosciuto anche per aver limitato la promiscuità che assai imperversava nei bagni pubblici comunali. Per quanto riguarda il bagno privato delle famiglie nobili, l’ordine di entrata seguiva la gerarchia: gli uomini prima e le donne dopo, alto rango prima e basso rango dopo; tuttavia, nelle città non vigeva un simile regolamento. Il governo cercò di cambiare la situazione (un po' come ha fatto con gli yunaburo, anch’essi alla fine dei particolari bagni misti) ma ci riuscì solo in parte nella città di Edo tra il XVIII e il XIX secolo, istituendo strutture divise per sesso, o che avessero almeno solo lo spogliatoio in comune. Tutto questo fino a quando il governo non decise nel 1869, in cui già da diversi anni ebbe fine la politica isolazionistica del Paese, di eliminare completamente la presenza dei bagni misti a Tokyo, a causa delle “recensioni negative” degli occidentali in visita al Paese, fortemente indisposti al mantenimento di questa pratica. Gli unici che non si dovettero adattare a tale comando furono i piccoli bagni di quartiere e gli onsen.
Il periodo moderno
Con l’inizio del periodo Mieji, ci fu una maggiore incentivazione alla costruzione di stabilimenti balneari, per motivi di modernizzazione e urbanizzazione, con la conseguente apertura di nuove fabbriche e imprese commerciali. Inoltre, venne sciolta la divisione per classe, e quindi tolto il grande potere che avevano i daymo e la casta guerriera. In particolare, questi ultimi persero le loro strutture private, che vennero demolite, fornendo materiale a buon mercato per la costruzione di nuovi stabilimenti balneari. Successivamente vennero introdotti nuovi metodi di costruzione di questi bagni, con il conseguente adattamento a uno stile più moderno e simile a quello che si può oggi osservare.
Nel 1923 successe poi il fatidico terremoto del Kanto, che distrusse quasi completamente Tokyo. In una situazione simile la gente cominciò a fare il bagno dove poteva, anche in zone squallide, finché non arrivarono i sovvenzionamenti per la costruzione di stabilimenti balneari temporanei. Con la seguente ripresa del paese, le nuove costruzioni incominciarono ad avere stili più innovativi e a fiorire nuovamente, fino a quando sopraggiunse il periodo della Seconda guerra mondiale. In un conflitto di tali proporzioni, le città urbane più importanti subirono gravissimi danni, e i bagni pubblici da migliaia si ridussero a poche centinaia.
Il disastro portò a una specie di devoluzione della pratica balneare per diversi anni, con la gente che si ritirava nelle campagne, più sicure, e si costruiva bagni improvvisati oppure si lavava nei fiumi o con l’acqua fredda di un pozzo (come nel periodo pre-buddhismo). Inoltre, il popolo voleva riconquistare la propria stabilità perduta, con la conseguente volontà di ricostruzione di una casa personale e un bagno stavolta domestico. Con il conseguente “miracolo economico giapponese”, avere un bagno privato diventò una consuetudine per classe alta, e più tardi anche per le classi inferiori, con lo sviluppo dei riscaldatori e dei sistemi idrici. Nel 1968 infatti poco più del 65% delle case in Giappone aveva il proprio bagno, anche se a Tokyo e Osaka, per motivi intuibili, la percentuale rimase inferiore al 50%, per poi aumentare nei decenni successivi.
L'utilizzo maggiore dei bagni domestici, causò il prevedibile diminuire dei clienti dei sento di quartiere, e quindi molti di questi stabilimenti dovettero chiudere battente. Di seguito questa tabella ci mostra come si ebbe una rapida discesa pochi anni dopo il 1968. Infatti, nel 1970, con la crisi petrolifera, i prezzi del carburante aumentarono, contribuendo ad appesantire il problema del loro declino. A oggi, i sento sopravvissuti cercano in ogni modo di fidelizzare con i clienti, proponendo nuove attività per avvalorare lo spirito comunale di gruppo. Altri invece cercano di offrire una gamma più ampia di servizi, espandendo lo spazio per poter ospitare tutti insieme massaggi, saune, idromassaggi e persino spazi dedicati alle sorgenti termali. Comunemente detti Super Sento, sono quelli che adesso vanno più in voga e attraggono maggior turismo.
IL PERCORSO EVOLUTIVO DELLO STILE BALNEARE
iwaburo
kamaburo
Nel tempo i bagni giapponesi hanno avuto uno stile che si è adattato alle esigenze della storia. All’inizio si è partiti molto probabilmente con ciò che si poteva acquisire in loco, e infatti era più una questione di lavarsi senza pensare ad alcun tipo di comodità. Successivamente si ebbe un inizio di stile architettonico con quelli che adesso chiameremmo i bagni più antichi mai realizzati in Giappone: l’iwafuro e i kamaburo. Gli iwaburo, che si trovavano spesso vicino alle coste dei mari interni del Giappone, erano concavità naturali o recinti scavati nella roccia, mentre i kamaburo erano delle strutture a forma di fornace costruiti nell’entroterra, tramite rocce e argilla. Entrambi funzionavano in modo simile, perché veniva acceso un fuoco al loro interno bruciando paglia, foglie o rami secchi, da cui si sprigionava il vapore.
Successivamente si pensò di costruire delle vasche di legno, le quali si svilupparono, nel periodo Heian, nelle case degli aristocratici (nasce il concetto di vasca da bagno “furo”). Passati al periodo Kamakura, vennero usate anche le vasche di ferro, come quella del Tempio Todaiji documentata nel 1203, che assomigliavano a delle grandi pentole. Queste venivano riscaldate da un fuoco sottostante o da acqua bollente trasferita da altre vasche, e potevano potenzialmente contenere più persone per la loro mole maggiore.
Nel periodo Ashikaga l’uso della vasca di legno diventò popolare anche tra il ceto medio-basso. Le nuove tinozze avevano una struttura circolare, ovale o ad assi a forma di scatola, legati assieme da bambù o altro materiale, che ricordavano le sembianze di una barca (yubune). Chi si faceva il bagno riscaldava l’acqua con un contenitore separato e la versava poi nella tinozza di legno. Solo nel periodo Edo fu poi collocata una stufa direttamente nella vasca, per riscaldarla più velocemente.
todanaburo
Nonostante la diffusione delle vasche, i bagni più popolari restavano però quelli pubblici a vapore (mushiburo), che ovviamente funzionavano in modo diverso. Questi bagni non avevano le forme tipiche usate nei templi del iwaburo e del kamaburo (impossibili da costruire nei centri cittadini), e si distinguevano da essi per avere un’architettura diversa e permettere alla persona di bagnarsi la parte inferiore del corpo.
Chiamati come todanaburo, erano costituite da delle piccole stanze, realizzate interamente in legno, poste all’interno delle vasche. Sotto di esso l’acqua veniva riscaldata, e il vapore generato penetrava nelle fessure presenti tra gli assi di legno. Tuttavia, aspettare che l’altro finisse per poter fare il bagno non era particolarmente gradito, e soprattutto il continuo via vai di gente, con la conseguente apertura e chiusura delle ante, causava la perdita del vapore.
Per evitare che quindi l’acqua si raffreddasse, si usò costruire un’entrata a forma di Tori, chiamato Zakuroguchi, composto da un architrave molto basso e un’apertura tale (di circa 80 cm d’altezza) da intrappolare il calore all’interno. Ma così come quello precedente, anche quest’ultimo aveva i suoi grandi difetti. Primo, bisognava curvare la schiena per potervi entrare, e secondo, sia all’interno che all’esterno di esso non c’era alcun tipo di illuminazione, siccome mancavano del tutto le finestre. Le persone non potevano capire se il bagno fosse pulito o se dietro di loro si nascondesse una persona poco raccomandabile, tant’è che si diffusero storie paurose e di cattivo gusto.
Ma sempre nel periodo Edo, alternative al mushiburo c’erano, e si presentavano come bagni dove ti potevi immergere fino alle spalle (sue-buro). Uno dei più diffusi era il teppoburo (bagno pistola), perché aveva un tubo d’acciaio posto verticalmente la vasca, a cui veniva messo il carburante. Simile a questo ci fu anche l’hesoburo (bagno a ombelico), a cui è stata inserita una scatola di metallo posta nella parte verticale della vasca, e il komochiburo (bagno con bambino), la cui vasca centrale era attaccata a una più piccola tramite un tubo da cui scorreva l’acqua.
goemonburo
Tutti questi erano fatti in legno, ma c’erano anche vasche d’acciaio riscaldate da un fuoco sottostante, chiamate goemon-buro (deriva da Goemon Ishikawa, un bandito che fu condannato a essere bollito vivo in un calderone a Kyoto, da cui è tratto l’omonimo personaggio della serie Lupin). In questi casi, siccome l’acciaio rovente sul fondo scottava al contatto con la pelle, si usava entrare nel bagno con i geta, oppure immergere un’asse di legno all’interno della vasca piena d’acqua. Vasche simili però consumavano molta acqua, quindi si preferiva andare ai bagni pubblici a vapore come il todanaburo e il zakuroguchi, o usare vasche simili al goemonburo, ma che necessitavano di meno acqua e mano carburante.
All’inizio dell’epoca Meiji però l’uso del zakuroguchi subì un rapido declino, quando un uomo chiamato Tsurukawa Monzaemon costruì nel 1879 un nuovo tipo di bagno basato su uno stile già in uso nelle sorgenti termali, in cui le persone potevano immergere totalmente il proprio corpo. Il bagno adesso aveva una grande vasca di legno piena d’acqua, col soffitto rialzato e le pareti dotate di molteplici finestre per far entrare più luce. Gli stabilimenti balneari diventarono con lui più igienici, e per questo furono proibiti la costruzione di nuovi bagni con lo stile zakuroguchi
Nel Novecento l’utilizzo delle piastrelle per le vasche e i pavimenti non ad assi migliorarono la pulizia dei bagni ulteriormente. I rubinetti successivamente sostituirono i contenitori di acqua calda per lavaggio del corpo. Nascono praticamente i sento che ancora oggi vediamo pressoché immutati nella loro disposizione:
- una tenda (noren) per indicare che l’ingresso è aperto.
- la zona dotata di armadietti (getabako)
- quella successiva della biglietteria, una struttura rialzata dove si paga il bandai-san
- due spogliatoi separati per uomo e donna, dove si ripongono tutti i propri indumenti
- la zona lavaggio, dotata di singoli rubinetti lungo le pareti
- Una vasca in comune e altre vasche collaterali.
Solitamente al chiuso, ma anche all’aperto nelle zone più rurali
Anche con l’industrializzazione e lo sviluppo di fabbriche e complessi residenziali, gli abitanti frequentavano in ogni caso i bagni pubblici o quelli situati nelle fabbriche. Gli stabilimenti balneari rimasero tipicamente giapponesi e si conservò l’architettura buddista. Tuttavia, anche se l’area dello spogliatoio ancora adesso conserva lo stile tradizionale (in legno o con altri materiali che rimandano al marrone), quella della doccia e della vasca stavano assumendo delle atmosfere più odierne e occidentalizzate, date da un maggior abbellimento generale
È qui che a poco a poco si definiscono due stili adesso consolidati: quello di Tokyo e Osaka. Il primo si è sviluppato dopo il terremoto del Kanto del 1923, quando durante la restaurazione degli stabilimenti balneari si decise di sperimentare uno stile più appariscente che fa uso dei murales (tipo quello del monte Fuji, simbolo regionale). Il secondo invece ha meno a che fare con i murales ed è più diversificato. Solitamente utilizza dei mosaici di tessere colorate o illustrate, che possono però venir sostituite in altre località da grandi finestre verso l’esterno con una fioriera o un piccolo giardino
Dagli anni 60 fino a oggi i sento però, e in parte anche gli onsen, hanno subito un declino, in favore del bagno domestico (uchiburo). Tuttavia, le case giapponesi solitamente avevano spazi molti ristretti, e si dovette inventare un tipo di bagno funzionale delle dimensioni di un armadio. Si sviluppò quindi l’oshiire, un bagno portatile collocato in una stanza con pavimento in terra battuta o in luogo esterno, a scopo di evitare incendi. Le vasche di legno furono ancora utilizzate ma si preferì usare quelle in acciaio perché più facili da mantenere.
Al giorno d’oggi i bagni privati giapponesi sono molto più confortevoli rispetto a quelli del passato, pur mantenendo la tipica disposizione degli stabilimenti balneari, e la filosofia dell’immergersi nella vasca solo per rilassarsi. Nella figura accanto notiamo che il gabinetto è completamente separato dalla zona del bagno, la quale invece è composta dal lavandino e la lavatrice da una parte, e da doccia e vasca dall’altra. Quest’ultima è completamente impermeabile, realizzata con plastica o materiali affini. Inoltre, le vasche sono più profonde di quelle occidentali, e l’acqua al suo interno viene riscaldata solitamente per circa 40 gradi e mantenuta in modo tale da essere usufruita da tutta la famiglia.
Per essere visti ancora come una valida alternativa, i sento importanti si sono quindi dovuti ampliare per non rimanere completamente sovrastati dalla modernità degli ofuro. In questo modo possono offrire più tipi di bagni e migliorie tecnologiche che difficilmente si troverebbero in altri posti. Gli onsen pure hanno seguito la stessa logica, diventando dei complessi residenziali pieni di ryokan (locali) e di gallerie commerciali, in modo tale da creare un’atmosfera quanto più invitante possibile. Alcuni hanno abbracciato il rinnovamento, diventando degli ambienti stile resort, altri lo hanno quasi del tutto evitato, mantenendo la propria tradizione e cercando di rimanere per quanto possibile in sinergia con la natura.
CONCLUSIONI
Aver parlato della storia e dello stile evolutivo dei bagni pubblici, ci fa capire quanto ancora una volta la tradizione si sia radicata nel Giappone senza essere dimenticata, seppur trasformata. Entrambi i luoghi hanno perso in parte la loro funzionalità d’origine, smettendo di essere necessari per diventare luoghi di passaggio da ammirare e ricordare. Tuttavia, il loro valore storico permane ancora adesso, mantenendo quella connotazione ricreativa che li ha tanto caratterizzati, permettendo alla gente di oggi di poter sperimentare sensazioni di una volta, quel senso di pura libertà che tendiamo a dimenticare durante il resto delle nostre giornate.
Questo articolo avrà anche una seconda parte che parlerà degli onsen in anime e manga
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